In compagnia dei lupi, il significato profondo della fiaba gotica di Neil Jordan

In compagnia dei lupi di Neil Jordan occupa un posto che definire speciale è anche riduttivo all’interno del fantasy. Oggi sono esattamente 40 anni dall’uscita in quasi mille sale negli Stati Uniti di un film su cui nessuno avrebbe scommesso molto, data la complessità del materiale di partenza e il budget irrisorio. Invece questa fiaba gotica onirica, a tratti inquietante, rimane uno dei titoli più belli, importanti e influenti del genere ancora oggi.

Un film dal budget limitato ma dalla dirompente fantasia

Approcciare un film come In compagnia dei lupi non è affatto semplice. Significa confrontarsi con un’opera che assomiglia ad una scatola cinese, che sotto le apparenze dell’appartenenza ad un genere preciso, quel fantasy che negli anni ‘80 nacque e dominò, nasconde molto di più. Genesi complicata, difficile quella del film di Neil Jordan. Il film infatti nasce traendo ispirazione da “La camera di sangue”, una raccolta di racconti di Angela Carter, scrittrice femminista tra le più importanti, che avrà non a caso un ruolo di prima importanza nella stesura della sceneggiatura. Il budget di soli 2 milioni di dollari, costringerà Neil Jordan ad improvvisare, per esempio nella costruzione di una foresta incantata creata con quasi nulla, nel trucco, nei costumi e molto altro. Eppure, miracolo dei miracoli, a dispetto di tutto, di quanto poi la povertà relativa dei mezzi si faccia spesso palese, In compagnia dei lupi rimane proprio per questo un film perfetto, abbracciato ad un realismo tale perché sorretto da uno stile minimal, sovente inquietante perché verosimile. Ma soprattutto, il film di Neil Jordan fin dai primi minuti ci intrappola dentro una dimensione, in cui sogno e realtà si confondono, dove è molto difficile orientarsi logicamente. E allora, non c’è altra scelta se non abbandonarsi ai sogni di Rosaleen (Sarah Patterson), che si trova in un XVII secolo popolato da mannari, creature magiche, in una brughiera inglese che pare sbucata dalla fantasia dei Fratelli Grimm o di Charles Perrault.

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Ma attenzione, Angela Carter ci aveva donato tra quelle pagini un’analisi profonda e disturbante sulle nostre paure primordiali, femminili in particolare. Cappuccetto Rosso è il primo riferimento concreto a livello visivo, con il suo simboleggiare la violenza prevaricatrice sul corpo femminile, il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, la prevaricazione in senso storico e psicanalitico. Ma c’è anche il sesso, il desiderio, la passione. Assieme, Carter e Jordan dopo quattro anni realizzano uno script in grado di rendere tutto questo realizzabile a livello di immagini. Un’impresa non da poco se pensiamo al fallimento, in questo senso, che Wolfgang Petersen con la sua La storia infinita affrontò in quello stesso periodo. Al fianco di quella ragazzina persa dentro un incubo, troviamo poi il volto della “Signora in Giallo”, Angela Lansbury, nonnina che mette in guardia Rosalen dai mille perigli che dovrà affrontare. In lei troviamo il classico spirito guida che da sempre, dai tempi del “Pinocchio” di Collodi, ogni adolescente ignorerà quando sarà il momento. In questa disobbedienza sta il cuore di In compagnia dei lupi. Vi è la ribellione giovanile, non solo agli adulti, ma ad una visione religiosamente oscurantista dell’esistenza femminile. Qualcosa che ovviamente si connette al sesso, alla sua scoperta. I lupi? I mannari sono una cosa, i lupi veri un’altra e non è difficile capire che è la dose di umanità nei primi a farli malvagi. La mascolinità nel film ha il languido e sensuale fascino di un corteggiatore galante e ambiguo, di un cacciatore traditore.

Un film in grado di svelare il volto nascosto delle fiabe

Neil Jordan recupera l’eredità dell’horror d’autore, quello della Hammer e soci, con decine di film a basso budget dedicati alle creature della notte che avevano reso gli anni ‘50 e ’60 uno scrigno di creatività. Come allora, anche qui Jordan capisce che la chiave per rendere tali creature potenti però, è evitare la contemporaneità, quella tipica del fantasy degli anni ‘80. Infatti è in un’ambientazione nel passato che i significati del film si rafforzano. Anche per questo, il film è diverso da ogni altro fantasy-horror dell’epoca. Rispetto a Un lupo mannaro americano a Londra o L’ululato infatti, Neil Jordan rende palesi le metafore, i significati latenti di quelle fiabe, che da secoli sono la rappresentazione dei tabù di una società, e di conseguenza di ciò che più di tutto desideriamo. Non uscire dal sentiero Rosaleen, non fidarti degli uomini, non toccare nulla. La ribellione come rischio e come scoperta, inevitabile e ardita, come motore però anche di cambiamenti totali. Cappuccetto Rosso permane fino ad un certo punto, poi, morta la nonnina, è la stessa Rosaleen a diventare qualcosa di diverso, a trasformarsi nella fiera che dovrebbe terrorizzarla, a vedere nell’animale e la natura qualcosa da amare, non nell’uomo. In questo, c’è un rivendicare un’indipendenza rispetto ai topoi classici della fiaba, della società che essa rappresenta, che la vedrebbero normalmente sacrificata alla sua femminilità inerme. Questo mutamento è il cuore stesso del film, dell’opera della Carter, un viaggio dentro le paure adolescenziali, da non prendere sottogamba.

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Il film ha una struttura apparentemente caotica, popolata di strane creature e uomini che sono portatori di violenza e la subiscono a loro volta. In compagnia dei lupi è pedagogia, è anche psicanalisi, è una messa in scena suggestiva, è un giocare con luci ed ombre, con l’animale reale o fittizio, con trasformazioni licantropesche che ancora oggi stupiscono non per la forma, ma per il contenuto che portano con sé. La scenografia di Anton Furst e Stuart Rose, i costumi di Elizabeth Waller e il trucco di Jane Royle e Christopher Tucker, contribuiscono a rendere il confine tra incubo e sogno incerto eppure meraviglioso, a rinnovare (ma non deformare) il vecchio mondo delle fiabe, allargarne i confini senza snaturarli. Rosso, rosa, nero, dominano i segmenti più folli e fantasiosi, sono parte di una simbologia che si aggrappa ad uno stile gotico, barocco, vittoriano. Anche per questo, per la sua complessità di significati e la sua distanza dall’accessibile, In compagnia dei lupi non avrà successo al botteghino, a malapena rientrerà nel budget. Ma la sua eredità verrà portata avanti da registi come Terry Gilliam, da Tim Burton, dallo stesso Neil Jordan che con Intervista col Vampiro ci donerà un cult degli anni ’90 dieci anni dopo e poi con Byzantium negli anni 2000. Poi verrà Guillermo del Toro e Matteo Garrone. Tanti film e serie tv hanno cercato di parlarci di giovani smarrite nei boschi, di licantropi, di quel legame tra ferale e sensuale che ci affascina da secoli. Ma per profondità e coerenza, nessuno ancora oggi è stato capace di andare oltre il teen movie, di avvinarsi a questo film strano e affascinante.

Fonte : Wired