A tre settimane dal terremoto che ha devastato Mandalay e il centro del Myanmar, la Chiesa resta accanto ai fedeli e alle vittime, offrendo sostegno materiale e spirituale. Mentre molte chiese restano inagibili, la Settimana Santa viene celebrata nei campi per sfollati e nelle sale parrocchiali. Maximilian, volontario Caritas, racconta che nella distruzione e nel dolore “la gente si sostiene a vicenda”, in una vera esperienza di rinascita.
È una Pasqua difficile quella dei fedeli cristiani in Myanmar dopo il devastante terremoto di magnitudo 7.7 che a fine marzo ha distrutto ampie regioni del Paese, già dilaniato da oltre quattro anni di conflitto civile. A Mandalay, una delle aree più colpite, “la cattedrale rischiava di crollare completamente”, racconta Maximilian, assistente sociale e volontario Caritas in prima linea nelle operazioni di soccorso dell’arcidiocesi. “Nessuno poteva entrare, perché i muri sono crepati, il tetto stava per crollare. Anche per la Domenica delle Palme, la Messa si è tenuta nelle sale parrocchiali o nei pressi dei campi di soccorso”.
Una chiesa, tuttavia, è rimasta in piedi: quella di San Giuseppe, costruita con rinforzi in acciaio dai missionari. Anche se alcune statue sono state danneggiate, la struttura ha resistito: “È un simbolo di resilienza”, spiega Maximilian, che nelle ultime settimane ha portato soccorso anche in una decina di villaggi nella municipalità di Yamethin. Tra le rovine, ha visto il volto della speranza: “Nell’attraversare i villaggi per portare soccorsi e aiuti umanitari, soprattutto negli ultimi giorni di Thingyan (il Capodanno birmano, che ha coinciso con l’inizio della Settimana Santa, ndr), ho osservato che le persone che vivono nella devastazione trovano la felicità a modo loro. Persone di religione ed etnia diverse hanno ritrovato la speranza e il loro scopo di vita sostenendosi a vicenda con sorprendente gentilezza e nonostante tutto sia crollato intorno a loro”.
“Quando ho visto la gente tornare a sperare con nuova energia, mi sono sentito incoraggiato anche io – ha continuato Maximilian -. Comincio a credere che possiamo davvero ricostruire la nostra vita, anche se abbiamo sofferto molto a causa del terremoto e della guerra civile. Certo, abbiamo perso molte vite e molte infrastrutture a causa di questo disastro. Le nostre città sono completamente devastate: le strade sono in gran parte distrutte e molti edifici devono essere demoliti perché le strutture sono danneggiate”.
Le agenzie internazionali e altre ong si stanno affidando alla Caritas per raggiungere le aree remote: “Stiamo distribuendo denaro, biscotti ad alto contenuto energetico e sacchi di riso”. Tuttavia persistono alcune preoccupazioni: “In alcune regioni non c’è assistenza, mentre in altre aree ho l’impressione che gli aiuti si sovrappongano”. Dovrebbe essere il governo guidato dalla giunta militare golpista ad “assumere il ruolo di guida nel coordinamento umanitario, ma invece di gestire la situazione, sta bloccando l’assistenza”, ha commentato Maximilian, facendo eco a diverse denunce da parte di attivisti locali.
Nelle ore successive al sisma i militari del regime non hanno mai smesso di bombardare le zone colpite dal disastro naturale, nonostante le dichiarazioni di cessate il fuoco. Negli ultimi giorni, inoltre, anche le piogge torrenziali e il forte vento hanno ostacolato la fornitura di aiuti, allagando i campi per gli sfollati. Ma “anche in questo caso le persone sono rimaste allegre”, testimonia Maximilian. “Non hanno lasciato che la depressione prendesse il sopravvento. Sono diventate più gentili, più amichevoli. È come se sapessero che la rinascita passa attraverso la gioia dell’unione”.
“Con le sfide attuali – aggiunge il volontario – potrebbero verificarsi casi di suicidio. Ma il popolo del Myanmar è resistente. Gli sfollati nelle chiese allestite all’interno dei rifugi temporanei erano bagnati fradici a causa dell’alluvione e della pioggia, ma tutti si aiutano e si incoraggiano a vicenda. Le persone stanno risanando da sole le proprie ferite”.
A Mandalay l’arcidiocesi non solo si è assunta l’incarico di continuare a guidare i fedeli, ma si dedica anche a coordinare le operazioni di soccorso, anche ora a distanza di tre settimane dal terremoto: “L’arcivescovo Marco Tin Win è molto attivo nel gestire le diverse parti coinvolte e i vari gruppi religiosi per massimizzare il sostegno umanitario. Ha incontri quotidiani con la squadra di soccorso”.
Anche i sacerdoti e le suore continuano a camminare con i fedeli e le vittime del sisma, offrendo assistenza spirituale, organizzando sessioni di meditazione, ascoltando le confessioni e confortando gli sfollati. “Anche se la maggior parte delle chiese sono chiuse, il nostro clero ci sta guidando attraverso la Settimana Santa in modi profondi e significativi. I soccorritori stanno cercando di fornire un supporto psicologico alle vittime. Il nostro arcivescovo guida sessioni di meditazione cristiana, nella speranza di un rinnovamento spirituale tra i fedeli”. Eppure il popolo del Myanmar sembra aver già fatto esperienza della resurrezione.
Per rispondere all’emergenza umanitaria, la Fondazione Pime ha deciso di lanciare una raccolta fondi per il Myanmar. Gli aiuti servono a portare aiuti a quanti sono colpiti dal terremoto attraverso l’ong New Humanity International, da anni attiva nel Paese che attraverso la sua rete locale si è mobilitata in queste ore per le operazioni di soccorso.
Si può donare con causale “S001 Emergenze – Terremoto in Myanmar e Thailandia”:
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Fonte : Asia