I peccatori, il film ambientato nell’America segregazionista degli anni ’30 è un’occasione sprecata

Per una buona parte della sua durata I peccatori sembra un film su una coppia di fratelli criminali afroamericani nell’America segregazionista degli anni ’30. Qualcosa che è facile aspettarsi da Ryan Coogler e Michael B. Jordan: cinema di saldi ideali che vuole rimettere a posto la narrazione di una parte di storia americana e afroamericana con un classico: il legame tra il blues e il demonio. Tutto l’intreccio vede due fratelli, rientrati dalla prima guerra mondiale, aprire un locale proprio nella zona del paese in cui la leggenda vuole che Robert Johnson abbia incontrato il diavolo a un crocevia, stringendo un patto che lo avrebbe reso il chitarrista più influente del Novecento, quello che ha fissato e canonizzato il blues per gli anni a seguire. Questa coppia di fratelli gemelli, entrambi interpretati da Michael B. Jordan, ha modi spicci, sa trattare con i bianchi razzisti e raduna un gruppo di afroamericani duri per creare un’impresa economica.

Un indubbio merito di I peccatori è essere un film commerciale a più strati, in cui ci sono molte cose. Questa è infatti la storia di un juke joint, quel tipo di locali (o più che altro bettole), gestiti e frequentati da afroamericani dopo aver lavorato tutto il giorno, in cui si suonava, si giocava d’azzardo e, in poche parole, si era liberi. Sono i locali in cui anche i generi musicali afroamericani si sono standardizzati, perché lì si esibivano musicisti e altri li ascoltavano ripetutamente. Molto di quello che il film vuole raccontare è proprio la musica e l’importanza che ha nella cultura afroamericana. Non a caso probabilmente la sequenza migliore di tutto I peccatori, la più onesta e sentita, è un piano sequenza con innesti digitali, in cui viene mostrato, tramite alcuni artifici, come ci sia un filo che connette la musica alla coscienza, alla liberazione e ai popoli del passato, del presente e del futuro. A vederlo è molto meglio che a leggerlo: è un momento in cui visivamente viene espressa e spiegata una visione di cosa la musica rappresenti per quella cultura, andando a pescare in un bacino di idee e valori che raramente sono associati alla musica.

E per chiudere l’elenco delle buone idee di questo film, c’è anche il ribaltamento della mitologia demoniaca. Non è il diavolo che concede a un musicista il dono, ma in questo film si dice che siano i musicisti (i migliori) a poter in certi casi evocare il diavolo con la loro musica, diavolo che brama quella musica lì. E qui arriva un altro strato: è questo un modo di rappresentare qualcosa che è sempre più presente nel cinema afroamericano, da Jordan Peele in poi, cioè il fatto che non solo il popolo nero viene discriminato ma che sempre di più quello bianco desidera avere ciò che i neri possiedono e li vampirizza. Il demonio richiamato dalla musica è il simbolo del fatto che il talento della cultura afroamericana per la musica evoca i demoni bianchi, che vengono a prenderli, sfruttarli e integrarli nella loro di cultura, assimilandoli.

Fonte : Wired