Eden Recensione: il thriller di Ron Howard con un cast da Oscar e una storia inaspettata!

Jude Law, Ana de Armas, Daniel Brühl, Vanessa Kirby e Sydney Sweeney. La metà di questi nomi basterebbe a trascinarci in sala per qualsiasi film, anche senza un trailer o una campagna marketing. Il cast scelto da Ron Howard (Willow, Il Grinch, Apollo 13) per la sua ultima fatica è di primo piano, e non è un caso che Eden abbia sollevato enorme interesse tra il pubblico d’Oltreoceano. Interesse che, stranamente, non si è preservato nel passaggio al mercato internazionale: l’opera – un thriller di sopravvivenza ambientato su una lussureggiante isola delle Galapagos – è infatti arrivata nei nostri cinema piuttosto in sordina lo scorso 10 aprile, dopo una presentazione in anteprima al Torino Film Festival. Se Eden è passato quasi inosservato, in realtà, un motivo c’è: al netto del suo impressionante cast, si tratta di una produzione piuttosto insipida, che stenta a farsi ricordare, anche al netto di una realizzazione tecnica soddisfacente e di una storia tutto sommato originale e inaspettatamente cruenta, per quanto tratta da una vicenda reale.

Un thriller ambientato in paradiso

Per Eden, Ron Howard ha deciso di adattare la vera storia del Dottor Friedrich Ritter, di sua moglie Dora e di un gruppo di coloni europei che, mal sopportando la decadenza del mondo moderno, decidono di stabilirsi sull’isola di Floreana, nelle Galapagos.

La metafora imbastita dal regista è chiara: la società degli Anni Trenta, fiaccata dal crollo della borsa del 1929 e dall’ascesa dei fascismi in Europa, è lo specchio del mondo contemporaneo. E così i Ritter, i Wittmer e via dicendo sono il simbolo di chi, oggi, cede alla tentazione di estraniarsi dal mondo, di ritirarsi nell’isolamento e di vivere in un autoproclamato paradiso. La fuga è però inesorabilmente destinata al fallimento, perché anche nell’eden si ripetono le logiche competitive, classiste e divisive che dominano l’infernale società da cui si cerca di scappare. Così, la storia dei primi coloni di Floreana – che si stenterebbe a credere reale, se l’origine biografica non venisse dichiarata con forza a fine film – si trasforma in una lenta ma costante discesa nell’abisso, nel graduale disvelamento della vera natura dell’uomo, che è egli stesso la causa del decadimento morale da cui cerca di fuggire.

Da qui il capovolgimento dei personaggi: Ritter non è uno filosofo che scappa dal mondo, ma un intellettuale senza futuro che si rintana in una torre d’avorio, senza per questo riuscire a rifuggire quegli impulsi animaleschi – la carne, il sesso, la violenza – che aborrisce nella sua opera. Dora non è la fedele compagna del Maestro, ma una fanatica che crede ciecamente in una causa vana. I Wittmer non sono una famiglia alla ricerca di un nuovo inizio, ma dei reietti in fuga dalla guerra e dalla povertà, ridotti a uno stato di indigenza tale da non poter che ripartire da zero, nell’unico lembo di terra in cui lo zero è il punto di inizio obbligato per tutti: un’isola deserta lontana miglia e miglia dal resto dell’umanità.

In questo contesto, il personaggio più “vero” è quello dell’ambigua, manipolatrice, avida e voltafaccia baronessa Eloise Bosquet de Wagner Wehrhorn, consapevole incarnazione di una società borghese al tramonto, di un sistema in cui la facciata conta più della sostanza e la prevaricazione arriva anche nei luoghi più remoti. L’ottima caratterizzazione dei personaggi è sostenuta da delle altrettanto buone (almeno in generale) prestazioni da parte del cast: Jude Law è convincente, così come Vanessa Kirby e Daniel Brühl – che pure non raggiungono le vette della performance del protagonista maschile. Sorprende anche Sydney Sweeney, ben lontana dalla sua “comfort zone” ma che riesce comunque a eccellere in un ruolo drammatico sì defilato, ma comunque centrale per l’incedere della trama. Non convince del tutto Ana de Armas, che viene ancora una volta incasellata in un personaggio certamente ben scritto, ma anche assai semplice da mettere in scena e privo di spessore.

Una storia fin troppo lenta

Un cast d’eccezione non fa però una grande storia, almeno non necessariamente. E, purtroppo, Eden ne è il chiaro esempio.

Difficile dire con quanto rigore siano stati ricostruiti i fatti (tuttora ne esistono più versioni), ma la controversa scelta di indugiare a lungo su tutti gli eventi del terribile 1932 di Floreana porta a un incedere fin troppo lento, anche perché l’andamento è monocorde: gli avvenimenti sono ripetitivi ed eccessivamente simili. Gli accadimenti si sommano spesso tra loro senza aggiungere nulla alla trama nel suo complesso. La parte centrale ne esce per forza di cose fiaccata: soffre di un’eccessiva ridondanza, che ne mina il ritmo e, a tratti, fa sopraggiungere la noia. Gli sviluppi più significativi si riducono alla prima mezz’ora del film – quella in cui vengono presentati tutti i personaggi, peraltro con una certa dovizia di particolari – e agli ultimi venti minuti, nel corso dei quali viene impressa una marcata accelerazione alla narrazione, che precipita rapidamente (forse fin troppo), scaturendo di nuovo l’attenzione per lo spettatore e traghettandolo a una conclusione soddisfacente, per quanto affrettata. Un buon inizio e una buona fine, però, non possono salvare da soli una parte centrale dove sarebbe stato possibile tagliare il superfluo, riducendo la durata del film e, al contempo, migliorando il ritmo della storia per tenere sempre alta l’attenzione dello spettatore.

Un’altra pecca della trama è quella di concentrarsi fin troppo su alcuni personaggi – prima tra tutti l’esuberante baronessa di Ana de Armas – e fin troppo poco su certi altri, come la Dora Strauch di Vanessa Kirby. Un maggiore equilibrio nei tempi a schermo e nelle battute avrebbe sicuramente giovato all’equilibrio complessivo della pellicola, insomma.

Dal punto di vista prettamente tecnico, segnaliamo l’ottimo (come sempre) accompagnamento musicale curato da Hans Zimmer, che qui non si fa notare troppo, lasciando ampio spazio ai rumori e ai silenzi di Floreana, forse per restituirne una dimensione paradisiaca che cozza con il tono teso e opprimente che il film assume già dai primi minuti di visione. Tono che è più che giustificato in ragione dell’obiettivo finale della pellicola: Eden racconta della trasformazione di un paradiso in un inferno. Trasformazione che avviene per opera dell’uomo, colpevole – secondo il regista – di non sapersi unire in quella “social catena” che invece gli permetterebbe di vincere una natura ostile e di prosperare.

Fonte : Everyeye