Chiesa libanese: ‘purificazione della memoria’ a 50 anni dalla guerra civile

L’appello in occasione dell’anniversario di un conflitto che ha una data di inizio, ma manca ancora quella della fine. La Chiesa maronita pronta a formare un comitato di saggi chiamati per superare “conflitti e amnesie”. Un monito presente anche nell’esortazioni apostolica sul Libano di Giovanni Paolo II, che aspetta ancora di essere attuata. Il Paese dei cedri troppo a lungo “satellite” della Siria e dell’Iran.

Beirut (AsiaNews) – Il 13 aprile, in concomitanza con la domenica delle Palme, il Paese dei cedri ha commemorato il cinquantesimo anniversario dallo scoppio della guerra civile nello stesso giorno del 1975, un conflitto dalle mille sfaccettature e contorni che si è concluso solo nel 1990. Nell’occasione tutta la stampa libanese ha commentato questa fatidica ricorrenza, nel tentativo di diffonderne la consapevolezza e, se possibile, di esorcizzarla. Assaad Chaftari, combattente tornato alla fede e autore di una notevole autobiografia intitolata “La verità, anche se la mia voce trema”, commenta questo anniversario dicendo: “Abbiamo una data per commemorare l’inizio della guerra, ma ne manca ancora una per commemorare la sua fine”. Al riguardo, il 12 aprile scorso la Chiesa maronita ha rilanciato un progetto previsto dall’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II “Una speranza nuova per il Libano” (1997). Al suo interno vi è la richiesta di compiere una “purificazione della memoria” dopo un conflitto che ha causato 200mila fra morti e dispersi.

Il rilancio del progetto è avvenuto nel corso di una riunione presieduta dal patriarca maronita card. Beshara Raï e alla quale hanno partecipato 25 parlamentari cristiani libanesi. A nome del primate, il vescovo maronita di Batrun mons. Mounir Khairallah ha spiegato la necessità di questo risveglio della coscienza nazionale e comunitaria; al contempo il prelato ha annunciato la formazione di una commissione episcopale presieduta dal vescovo emerito di Beirut, mons. Boulos Matar. Questa commissione sarà responsabile della creazione di un comitato multi-comunitario di saggi, al quale sarà affidato il compito di guidare questa iniziativa.

Purtroppo va detto che il Paese dei cedri ha rimandato per 28 anni il compito urgente di assumersi in maniera consapevole le proprie responsabilità in merito alla guerra civile. Questo processo è stato indubbiamente inevitabile, anche a causa della cosiddetta “satellizzazione” del Libano da parte della Siria prima, poi dell’Iran di cui è diventato uno Stato vassallo. Non va dimenticato, infatti, che dopo la fine della guerra civile (combattuta fra il 1975 e il 1990) la legge di amnistia del 1991 ha imposto una forma di amnesia ufficiale; una norma il cui scopo era quello di proteggere dai procedimenti giudiziari i principali leader delle comunità, che all’epoca avevano aderito a quella che è stata ribattezzata la “Pax Syriana”.

Nonostante queste riserve Martin Akkad, presidente della Near East School of Theology (Nest), ritiene che “l’approccio della Chiesa sia insufficiente, perché l’opinione pubblica non reagisce più quando sente parlare di dialogo tra le Chiese e le élite politiche”. “Dobbiamo coinvolgere la società civile in questo processo. Lungi da qualsiasi elitarismo, mettiamo – auspica – la nostra esperienza al servizio di questo dialogo”. Peraltro lo stesso Akkad nel 2019 aveva lanciato un “Cénacle Mémoire et Avenir”, che organizza regolarmente conferenze-dibattito sul tema.

La guerra civile poteva essere evitata? In un messaggio alla nazione pronunciato il 12 aprile scorso il Capo dello Stato Joseph Aoun ha posto la stessa domanda, senza rispondere. “Certo, la guerra si è conclusa con l’Accordo di Taif, che comprendeva importanti compromessi e modifiche costituzionali essenziali. Ma la domanda rimane: non avremmo potuto – si è chiesto il presidente – ottenere queste riforme attraverso il dialogo, senza ricorrere alla guerra, alla distruzione e ai combattimenti?”. Ciononostante, la risposta a questo quesito irrisolto deve essere lasciata in sospeso fino a quando non sarà completata un’analisi razionale delle cause della violenza e non se ne trarrà una lezione adeguata.

Per la storica Nayla Hamadé, presidente dell’Associazione libanese per la storia, vi è ancora molta strada da fare prima che la memoria dei libanesi sia “purificata”. Ufficialmente, inoltre, la situazione è ancora incerta. Alcuni ritengono che “questa sia la guerra di qualcun altro sul nostro territorio”. Nayla Hamadé, da parte sua, ha preso una decisione: “Dobbiamo convincerci – spiega – che si è trattato di una guerra civile. È l’unico modo per assumerci la responsabilità delle nostre azioni” avverte la studiosa, che ha rischiato di essere uccisa quando una granata è atterrata vicino all’autobus su cui viaggiava a Baakline (Chouf).

Nell’occasione l’esplosione ha ucciso tre persone, ricorda la donna. Era il 1979, durante la cosiddetta “guerra di liberazione” condotta dal generale Michel Aoun e dalle brigate dell’esercito sotto il suo comando contro la Siria. Secondo Marwan Chahine, autore del libro “Beyrouth, 13 avril 1975 – Autopsie d’une étincelle” (Prix France-Liban 2024), “lavorare sulla memoria richiede due cose: documentare i fatti e tenere conto delle memorie di ciascun gruppo”. Ciò premesso, aggiunge, “le cose si stanno muovendo e ci sono nuovi sviluppi. Per la prima volta parlano nuovi testimoni, tra cui due membri del Kataeb che hanno assistito all’incidente e un palestinese che era a bordo dell’autobus mitragliato (27 morti in totale). Inoltre, l’autobus [nella foto] diventato un simbolo, è entrato nel museo (il Nebo Museum, vicino a Chekka)”. “Tuttavia nel frattempo – conclude – ci sono state tante nuove guerre e tante nuove amnesie…”. Il lavoro di purificazione della memoria non è mai perfettamente completo e deve essere ripreso con costanza al servizio della vera pace.

Fonte : Asia