The Last of Us ci mostra che nemmeno un’apocalisse fermerebbe l’omofobia

In Giorni futuri, il primo episodio della seconda stagione di The Last of Us, Ellie (Bella Ramsey) si lascia andare a un momento di effusione queer in pubblico. La sua spontaneità non viene apprezzata da uno dei presenti, che le indirizza un commento omofobo suscitando l’intervento del suo padre putativo, Joel (Pedro Pascal). Quella che affronta Ellie è un’esperienza familiare a molte persone lgbtq+ di ogni generazione, che prima o poi capita a chiunque mostri affetto verso il proprio partner senza nascondersi.

La scena, come racconta a Wired US il creatore della serie Craig Mazin, ricorda al pubblico che i personaggi dello show sono, almeno in parte, fermi al 2003, “perché nella nostra storia il mondo è finito in quel momento”. La paura ha rafforzato i pregiudizi di alcune persone, mentre altre hanno cercato di ricostruire i propri legami in un mondo in cui intere famiglie sono state spazzate via, accettando alleati che altrimenti non avrebbero accolto nella loro vita.

L’omofobia in un mondo post-apocalittico

L’obiettivo di The Last of Us è quindi quello di ricordarci con precisione il mondo così com’era all’epoca e ipotizzare il modo in cui avrebbe gestito questioni come la religione, l’etnia, il genere e la sessualità sotto il peso di un’apocalisse zombie. “Quando nella serie c’è un momento sconvolgente, è lì per ricordarci come erano le cose una volta”, osserva Mazin.

Rappresentare le persone queer e l’omofobia nei media è ancora complicato. The Last of Us, in tutte le sue declinazioni, è un prodotto del suo tempo. Ma la seconda stagione della serie è stata prodotta in un’America diversa da quella che esisteva nel 2013 (quando è uscito il primo videogame da cui è tratta), o nel 2023, anno di debutto dell’adattamento televisivo. Nel 2025, le persone queer, in particolare quelle trans, sono sotto attacco continuo negli Stati Uniti da quando Donald Trump è tornato presidente e ha iniziato a fare di tutto per escludere le donne e le ragazze trans dagli sport femminili e limitare i finanziamenti per le cure di affermazione di genere ai minori di diciannove anni.

Secondo Mazin, la rappresentazione dell’omofobia in The Last of Us serve semplicemente a ricordarci quali erano le opinioni diffuse vent’anni fa, anche se chi guarda la serie lo fa in un’epoca in cui l’omofobia esiste ancora. Quando abbiamo chiesto a Neil Druckmann, la mente dietro il videogame e co-creatore della serie, come lui e Mazin siano riusciti a bilanciare le trame queer in un contesto culturalmente bloccato al 2003, rappresentandole in un 2025 in cui i diritti delle persone trans sono diventati una questione controversa del dibattito pubblico negli Stati Uniti, la sua risposta è diretta. “Come gestiamo quello che sta succedendo nel mondo e quanto di tutto questo si ripercuote sulla nostra storia? Direi lo zero per cento – spiega Druckmann –. Cerchiamo di escludere il più possibile tutte le pressioni e le voci esterne e di concentrarci sulla storia… se il pubblico apprezza, bene, anzi, benissimo. Se non lo fa, è una sua scelta. Quello che conta per noi è conservare l’integrità e l’autenticità, applicandola alla trama senza scendere mai a compromessi”.

Basato su una serie di videogiochi pubblicati dallo sviluppatore Naughty Dog, The Last of Us è diventato un successo televisivo internazionale fin dalla prima stagione, trasmessa in Italia da Sky e Now. Fin da subito, lo show è stato sia apprezzato che criticato per l’inclusione di figure lgbtq+. Glaad, un’organizzazione no-profit di attivisti che promuovono una rappresentazione accurata delle persone lgbtq+ nelle opere di fantasia, ha assegnato alla produzione il premio Outstanding New Series nel 2024. In rete però alcuni utenti si sono scagliati contro i creatori della serie accusandoli di aver approfondito tematiche queer solo accennate nei videogiochi e aver promosso una “propaganda queer“.

La rappresentazione delle persone queer in The Last of Us

Anche i videogiochi di Naughty Dog – The Last of Us, The Last of Us Parte II e The Last of Us: Left Behind – hanno subìto la stessa sorte. I fan queer li hanno accolti con favore, ma hanno anche avuto da ridire per un caso di deadnaming. In un medium che tradizionalmente ha reagito in malo modo alla diversità, un personaggio trans come quello di Lev è stato però visto dai più come un faro di inclusione.

Fonte : Wired