Sempre in Europa, l’Università di Oulu, in Finlandia, ha avviato nel 2018 un programma di otto anni chiamato 6G Flagship, finanziato con 251 milioni di dollari, anche grazie al contributo di Nokia. L’Unione europea è invece direttamente coinvolta nel progetto di ricerca Hexa-X, guidato sempre da Nokia con la partecipazione di Ericsson, Intel, Telefónica, TIM e altri. Il progetto Smart Networks and Services Joint Undertaking, sempre europeo, coordina invece 79 differenti progetti, tra cui Hexa-X II. Anche in questo settore, quindi, si ripropone la sfida tra Cina e Stati Uniti (indietro rispetto all’avversario, come già avvenuto con il 5G), con l’Europa in corsa ma staccata.
La strada verso il 6G, quindi, è ancora molto lunga. E ci vorrà parecchio tempo per capire se le promesse di questa tecnologia verranno mantenute. Se dobbiamo, però, affidarci a quanto avvenuto col 5G, i segnali non sono dei migliori: presentata a sua volta come un’innovazione rivoluzionaria, il 5G non ha finora mantenuto gran parte delle aspettative in essa riposte, al punto che perfino un grosso operatore telefonico come SK Telecom (il più importante della Corea del Sud) ha dichiarato che il 5G è stato “eccessivamente promosso e ha dato risultati insufficienti”, mentre Bloomberg lo ha bollato come un “trucchetto del marketing”.
Effettivamente, molte delle promesse relative al 5G – auto autonome, smart city, realtà virtuale in mobilità, telemedicina e altro ancora – sono oggi riproposte nei comunicati relativi al 6G, segnalando come il suo predecessore non abbia portato, soprattutto a livello consumer, le grandi innovazioni attese. Quali sono le ragioni? Una delle principali è che il 5G oggi a disposizione non raggiunge le prestazioni attese. L’infrastruttura di rete utilizzata sfrutta infatti, quasi sempre, le stesse antenne del 4G invece di quelle “stand alone”, cioè esclusivamente dedicate al 5G, che in Italia non superano il 7% del totale. Una coabitazione temporanea che rischia però di protrarsi a lungo, che limita le performance del 5G e quindi le sue potenzialità. E infatti, nonostante l’ampia disponibilità, solo il 30% delle connessioni attive in Europa utilizza il 5G.
Ed è forse anche per questo, come segnala sempre SCMP (evidenziando il vantaggio della Cina), che in Europa e anche negli Stati Uniti c’è molto meno interesse nei confronti del 6G: “Non tutti i paesi guardano al 6G con lo stesso entusiasmo della Cina. Un rapporto industriale pubblicato lo scorso anno sulla rivista cinese Scientia Sinica Informationis ha osservato che ‘esistono ancora evidenti differenze nell’atteggiamento delle varie nazioni e regioni nei confronti del 6G. Gli operatori europei e americani sono meno disposti a sviluppare il 6G a causa del ritardo nella diffusione del 5G”.
Considerando i costi stratosferici necessari per lo sviluppo di queste tecnologie – un report McKinsey stima un investimento di 600 miliardi di dollari nel mondo per l’implementazione dell’infrastruttura 5G – e gli scarsi risultati finora ottenuti (almeno in questa parte del mondo), non stupisce che ci sia una certa ritrosia a impegnarsi al massimo nei confronti della prossima generazione di trasmissione dati. Lasciando così, ancora una volta, un importante vantaggio alla superpotenza tecnologica cinese.
Fonte : Wired