Dazi e petrolio, Trump silura anche i suoi piani di ritorno al fossile

Secondo uno studio di Boston consulting group, circa l’85% dei materiali presenti nelle batterie prodotte negli Stati Uniti è importato. BloombergNef aggiunge che nel 2025, per soddisfare la domanda interna, l’America dovrà importare la grande maggioranza, se non quasi l’interezza, dei catodi, degli anodi e dei separatori per le batterie. La Cina, sottoposta a dazi oltre il 100%, è di gran lunga la principale produttrice di questi componenti.

Dazi, cosa cambia per l’industria solare?

Se le batterie costeranno di più, anche i costi degli impianti rinnovabili si alzeranno, rendendo più complicata la realizzazione del piano di Trump per l’energy dominance e per l’abbassamento dei prezzi dell’energia ai consumatori. Peraltro, le tariffe di Trump appesantiranno anche le importazioni di pannelli fotovoltaici e dei relativi componenti: nel 2024 gli Stati Uniti hanno acquistato dall’estero il 75% delle celle e dei moduli solari, di cui la maggiore produttrice, anche in questo caso, è la Cina. Senza contare che la presenza manifatturiera di Pechino si estende anche sul sud-est asiatico.

L’intera industria solare americana – tanto le aziende specializzate nell’installazione dei pannelli quanto le imprese che li fabbricano – è però abituata a fare i conti con le tariffe: quelle di Trump non sono le prime. Gli installatori, infatti, hanno anticipato i dazi, importando preventivamente grandi quantità di pannelli dall’Asia orientale e depositandoli nei magazzini: fungeranno da scorte per l’immediato futuro. Più difficile è la situazione dei costruttori, che non possono fare affidamento su una filiera domestica adeguata per la componentistica di cui hanno bisogno.

La Cina limita le terre rare

Tra le risposte ai dazi di Trump, la Cina ha introdotto dei controlli alle esportazioni di alcune terre rare, come il samario e il disprosio, e dei loro derivati.

Le terre rare sono un gruppo di diciassette elementi fondamentali per le industrie dell’elettronica, della difesa e dell’energia pulita: Pechino domina la loro estrazione e, soprattutto, la loro raffinazione. Basti pensare che in America c’è una sola miniera attiva di terre rare che dipende parzialmente dalla Cina per la lavorazione della materia grezza.

La risposta del ministero del Commercio della Cina, seppur non induca un reale stop delle esportazioni ma un rallentamento potenziale, si aggiunge ad una lista di rappresaglie che vedono sempre più le materie prime critiche al centro della ‘guerra’ tecnologica e commerciale”, ha spiegato a Wired Alberto Prina Cerai, ricercatore dell’Ispi (Istituto per gli studi in politica internazionale).

Pechino è pronta a esercitare coercizione economica, ma in maniera chirurgica e con il massimo impatto potenziale”, prosegue l’analista. “Come? Colpendo gli Stati Uniti nella dipendenza da alcuni metalli e composti delle terre rare impiegati nell’industria della difesa: il samario usato nei magneti permanenti ad alta performance, o il disprosio di cui controlla il 100% dell’offerta mondiale. Senza il disprosio non si possono produrre magneti utilizzabili in motori elettrici, turbine eoliche offshore o droni militari. O il gadolinio, usato nei reattori nucleari”.

La precedente amministrazione Biden aveva lavorato molto al coordinamento tra gli Stati Uniti e un gruppo di alleati – tra cui l’Australia, il Canada e il Giappone – per lo sviluppo di filiere dei minerali critici alternative alla Cina. L’aggressività commerciale di Trump, però, potrebbe complicare questi piani.

Fonte : Wired