La grande rivoluzione dell’intelligenza artificiale moderna ha un luogo e una data precisi: San Francisco, 30 novembre 2022.
È il giorno in cui Open AI, organizzazione inizialmente nata senza scopo di lucro, ha reso pubblico su Internet ChatGpt, acronimo di Chat Generative Pre-trained Transformer. È il chatbot con cui la maggior parte delle persone ha conosciuto l’intelligenza artificiale generativa, quella cioè in grado di creare testi, foto, video, audio e tutto quanto – o quasi – è digitale inserendo nel computer o nello smartphone un semplice comando testuale.
Fino a quel momento, l’IA che si conosceva era diversa. Era di tipo predittivo, ovvero l’intelligenza artificiale che consente, a partire da grandi moli di dati, di ottenere informazioni e consigli utili, sia per motivi privati che professionali: un percorso da fare in auto, una serie tv da guardare, una decisione da prendere sul lavoro e così via.
Le guide di Repubblica
Raccontare e spiegare cosa è in grado di fare e come può essere usata l’IA generativa sono gli obiettivi della collana in regalo con la Repubblica dedicata alla tecnologia che è stata paragonata, da molti, alla scoperta dell’elettricità e del fuoco.
Il 14, 15 e 16 aprile prossimi, in regalo con il quotidiano diretto da Mario Orfeo, troverete allegati altrettanti volumi che spiegheranno non solo come siamo arrivati a “parlare” con le macchine, ma anche come si può trasformare questo dialogo in un vantaggio competitivo nello studio e nel lavoro.
IA, il momento della svolta
L’avvento di ChatGpt è stato un momento di svolta. Nel 2022, infatti, per la prima volta dal 2013, gli investimenti privati in IA erano diminuiti: 92 miliardi di dollari contro i 125 del 2021, secondo un rapporto dell’Università di Stanford.
L’intelligenza artificiale viveva quindi la sua prima fase di flessione, tanto che stando a una ricerca della società di consulenza McKinsey, l’adozione dell’IA da parte delle imprese era in calo: da 56% a 50%.
ChatGpt e l’IA generativa hanno invertito questa tendenza negativa. Guardando le potenzialità di questa tecnologia, infatti, gli investimenti delle grandi aziende, dei venture capital e in generale dei fondi che finanziano l’innovazione sono ripartiti immediatamente. Un numero su tutti: solo Microsoft, la prima big tech a credere in ChatGpt, investì subito circa 10 miliardi di dollari in OpenAI.
Questo flusso di denaro verso le casse di OpenAI, un’azienda che oggi vale 300 miliardi di dollari, ha contribuito a un’accelerazione che ha cambiato tutto. Non solo il valore delle azioni delle aziende impegnate in una frenetica corsa all’IA.
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Come cambiano i motori di ricerca
Cambierà (e sta cambiando) tutto anche per noi utenti. Per esempio, nel rapporto che abbiamo con la conoscenza e l’informazione. Oggi la maggior parte di noi si informa attraverso i media (tradizionali e digitali, o social) e i motori di ricerca, tipicamente quello di Google.
L’IA generativa aggiunge un’altra e importante fonte. Che però, a differenza di quanto è successo fin qui nella Storia dell’essere umano, dalla nascita del linguaggio e della scrittura a oggi, non ha autori ben identificabili.
Se infatti interroghiamo strumenti come ChatGpt, Meta AI (il chatbot di Meta, la holding di Facebook, Instagram e WhatsApp), Gemini (Google) o Claude (sviluppato dalla startup californiana Anthropic), ci viene restituito un testo o un’immagine le cui fonti (cioè il web, i giornali online e altre librerie “aperte” su cui si addestrano gli algoritmi) non sono sempre palesi. E soprattutto non è chiaro il criterio con cui l’IA selezioni le fonti stesse per generare i suoi contenuti, né è comprensibile all’utente il modo con cui le sue “risposte” vengono fornite.
L’impatto dell’IA sulla conoscenza
Questo processo pone due questioni, di non poco conto. La prima riguarda la formazione della conoscenza individuale e dell’opinione pubblica. Quando entriamo in contatto con una qualsiasi informazione (di carattere politico, storico, culturale, scientifico o sportivo), è fondamentale saperne l’origine per valutarne l’attendibilità e l’autorevolezza. Per questo l’IA è e sarà uno straordinario strumento di apprendimento e di creazione, ma è importante che chi la utilizza sappia che non può essere unico ed esclusivo.
Nel caso delle immagini o dei video, per esempio, è importante verificare sempre ciò che ci appare davanti se non conosciamo la fonte. Abbiamo infatti visto negli ultimi mesi una proliferazione di filmati “finti” generati da IA. Il modo per proteggersi da queste false informazioni non è chiedere una censura di questi contenuti (si troverebbe sempre il modo di aggirarla) ma di dotarci di un anticorpo indispensabile e figlio della nostra intelligenza naturale: il pensiero critico.
Il problema del diritto d’autore
La seconda grande questione che pone l’IA generativa riguarda il diritto d’autore, su cui la giurisprudenza si sta interrogando in tutto il mondo. Senza, per ora, avere ancora una risposta chiara. Un testo, un’immagine, un brano musicale vengono infatti creati da un algoritmo che lavora su testi, immagini e brani prodotti da esseri umani che ne detengono i diritti. In questo momento, a parte qualche raro caso, le aziende che sviluppano IA non riconoscono nulla agli autori per le loro “produzioni”.
È dunque corretto che questo accada o per l’intelligenza artificiale dovrebbe essere valido lo stesso principio che vale per l’intelligenza umana, la quale – per ideare qualcosa – può ispirarsi all’esperienza e al bagaglio culturale senza riconoscere diritti a pensatori, artisti, romanzieri o musicisti?
Fonte : Repubblica