Ladyhawke, l’analisi del fantasy immortale che compie quarant’anni

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In questa tragedia, trova posto il giovane, astuto e impertinente ladruncolo di strada Philippe Gaston (Matthew Broderick), che sfuggito dai sotterranei della fortezza in cui era destinato all’impiccagione, viene forzatamente reclutato da Navarre, dopo che questi gli ha salvato la vita dai suoi ex soldati, affinché gli permetta di entrare non visto nella Fortezza e trucidare il Vescovo. Naturalmente le cose non andranno proprio lisce ma sarà l’inizio di un’avventura dove tragedia e commedia vanno di pari passo, resa però unica dall’ambientazione, dalla fotografia del nostro Vittorio Storaro, al netto di una colonna sonora forse fin troppo rockeggiante e creativa di Andrew Powell e Alan Parsons. Ciò che rende Ladyhawke ancora oggi così speciale, è però l’atmosfera, il suo staccarsi da ciò che era stato il fantasy, genere simbolo degli anni ‘80, fino a quel momento. Solo tre anni prima, John Milius ci aveva donato un capolavoro come Conan il Barbaro, che si può considerare il capostipite del genere. Non si possono però dimenticare anche titoli come La Storia Infinita, Flash Gordon, Scontro tra Titani, Dark Crystal, Dune e il secondo e terzo atto della prima trilogia di Star Wars. Un insieme di film che aveva reso il genere fantasy spesso ibrido a livello di stile ed identità. Con Ladyhawke invece, girato in Lunigiana, Aquila, nelle Dolomiti, a Massa Carrara (solo per elencare alcune location), ci si connetterà profondamente al folklore e al mito europeo, staccandosi completamente dall’atmosfera hollywoodiana, kitsch, sovente anche eccessivamente giocosa che caratterizzava il genere agli albori.

Un film che è diventato uno dei simboli degli anni ’80

Vi è da parte di Richard Donner la costante ricerca di credibilità e verosimiglianza nella sua regia, a dispetto delle improbabili armi ed armature, dei costumi fin troppo sgargianti di Nanà Cecchi. Il film ha dialoghi e un’interazione tra i personaggi, che ci portano dentro quella storia di due innamorati divisi dalla magia, ma di come tutto questo sembri agli occhi di Philippe. Non è un particolare da nulla, perché il suo stupore nel constatare quella mutazione, il suo diventare di giorno in giorno non più un prigioniero di Navarre, ma un sincero amico, sono qualcosa che rendono il film di Donner profondamente connesso anche al racconto di formazione. Matthew Broderick è sicuramente l’arma in più del film, un personaggio distante dall’eroismo, eppure capace di abbracciarlo in pieno, nei momenti più rischiosi. La regia di Donner è semplicemente perfetta per varietà e dinamismo, per come sa giocare con i contrasti: luce e tenebra, giorno e notte. Michelle Pfeiffer è spettacolare, così minimal e semplice, eppure così disarmante nella sua bellezza, nel suo rappresentare una metafora della violenza subita dalle donne in senso storico e sociale. Rutger Hauer, diventato famoso pochi anni prima per il suo Roy Batty Blade Runner, è un Cavaliere Solitario magnifico. In lui, nel suo Navarre, vestito di nero in contrasto al bianco simbolo del villain (splendida inversione dei cliché cromatici), Ladyhawke recupera l’essenza del ciclo arturiano, dei racconti dei Fratelli Grimm e di Beaumont, del Mito Norreno, ma soprattutto delle Chanson de Geste, dei poemi cavallereschi.

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Navarre sarà alla base di ciò che poi diventeranno un numero sterminato di protagonisti fantasy in tantissimi film, serie tv, fumetti, manga, anime e mondi videoludici. Basti pensare a Berserk, a Geralt di Rivia e molto altro ancora. Nel perenne contrasto e fusione tra l’Italia dell’epoca e la fantasia più spinta, nel parlarci di un’assenza totale di libertà che si rifà ad una visione bigotta, oscurantista e paternalistica anche del sesso, della donna, Ladyhawke, pur nella semplicità della sua trama, ha saputo affascinare chiunque all’epoca lo abbia visto. A 40 anni di distanza, pure vestendo gli abiti di un prodotto certamente vintage, la sua genuinità, la sua magnifica componente visiva, lo rendono un gioiello che purtroppo non incontrò i gusti del pubblico. Difficile capire il perché del flop, a fronte soprattutto dell’immensa popolarità che negli anni a seguire, soprattutto grazie al mercato home video, il film avrebbe conosciuto. Di certo tutto in Ladyhawke grida “anni ‘80!” e non è affatto un difetto anzi, è uno dei film più rappresentativi di un decennio cinematograficamente inimitabile. Di lì a poco, il genere avrebbe donato altre perle meravigliose, basti pensare a Labyrinth, Willow, La Storia Fantastica, la saga di Highlander, quello stesso anno usciranno Legend e Yado. Bisognerà aspettare gli anni ’90, Dragonheart per trovare qualcosa di così speciale. Ma nessuno, davvero nessuno di questi avrà quel fascino unico, autentico e inimitabile di Ladyhawke, di cui speriamo non si faccia mai un remake, sarebbe semplicemente un errore scellerato.

Fonte : Wired