Un giorno su Urano dura 17 ore, 14 minuti e 52 secondi: 28 secondi in più rispetto a quanto stimato in precedenza in base ai dati raccolti durante la missione Voyager 2 della Nasa. È quanto emerge dai risultati di uno studio pubblicato su Nature Astronomy, ottenuti grazie all’impiego di una nuova tecnica per misurare il rate di rotazione del pianeta. Si tratta di una differenza irrilevante? Non esattamente, dato che la nuova stima avrebbe permesso di risolvere alcuni misteri legati al gigante ghiacciato, e secondo il team di ricerca tornerà estremamente utile per le missioni future.
Grazie a Hubble
Urano è il penultimo pianeta del Sistema solare in ordine di distanza dal Sole (terzultimo se consideriamo anche il pianeta nano Plutone). Proprio perché si trova così lontano da noi non è possibile fare delle misurazioni dirette, e finora l’unica sonda ad essersi avvicinata a sufficienza è stata appunto la Voyager 2 della Nasa, nel corso di un sorvolo effettuato nel 1986.
La nuova stima del periodo di rotazione di Urano, che sarebbe circa mille volte più accurata di quella precedente, è stata ottenuta grazie al telescopio spaziale Hubble. Per oltre un decennio, spiegano Esa e Nasa, Hubble ha infatti osservato le emissioni ultraviolette legate alle aurore di Urano, ossia quei giochi di luce generati nell’alta atmosfera che si osservano in alcune occasioni anche qui sulla Terra. I dati raccolti da Hubble hanno permesso ai ricercatori di tracciare la posizione dei poli magnetici del pianeta attraverso l’impiego di specifici modelli.
“Le osservazioni continue di Hubble sono state fondamentali”, racconta Laurent Lamy, che ha coordinato lo studio. “Senza questa ricchezza di dati, sarebbe stato impossibile individuare il segnale periodico con il livello di precisione che abbiamo raggiunto”.
Le conseguenze della scoperta
“La nostra misurazione non solo fornisce un riferimento essenziale per la comunità scientifica, ma risolve anche un problema di vecchia data: i precedenti sistemi di coordinate basati su periodi di rotazione obsoleti erano diventati rapidamente imprecisi, rendendo impossibile seguire i poli magnetici di Urano nel tempo”, prosegue Lamy. “Con questo nuovo sistema, possiamo ora confrontare le osservazioni aurorali di quasi 40 anni e persino pianificare la prossima missione su Urano”.
La nuova tecnica utilizzata, si legge nello studio, costituisce tra l’altro un nuovo metodo per misurare il rate di rotazione di qualsiasi altro oggetto del Sistema solare, purché dotato di una magnetosfera e di aurore modulate dalla rotazione.
Fonte : Wired