Qualche certezza nell’incertezza generale. Il Made in Italy gode di buona salute. L’Italia si conferma tra i principali esportatori a livello mondiale. Ma il quadro geopolitico e la guerra dei dazi rischiano di creare uno scenario nuovo, pieno di incertezze, nel quale però la capacità di adattamento delle imprese italiane può rivelarsi un’arma utile, addirittura una forza se unita a una maggiore spinta all’innovazione. È il quadro che emerge dall’ultimo rapporto Assoconsult, realizzato con il Centro Studi Confindustria, che ha dedicato l’edizione 2024 all’innovazione del Made in Italy, settore ritenuto strategico dall’associazione e prioritario dal governo. Il rapporto parte dai punti fermi. E il primo è quella che viene definita la “resilienza dell’Italia nell’export”. Nonostante le incertezze globali, l’Italia mantiene forti quote di mercato grazie alla qualità riconosciuta dei suoi prodotti. Quei “buoni, belli e ben fatti” prodotti italiani che tengono l’Italia al quarto posto mondiale per l’export, superando il Giappone; al quarto posto mondiale per numero di mercati raggiunti; al sesto posto per quota dell’export, seconda in Europa dopo la Germania, che invece è il primo importatore di prodotti italiani.
Antonietti (Assoconsult): “L’Italia può superare la crisi dei dazi, export eterogeneo”
In questo quadro descritto come positivo, si allunga però l’ombra di Donald Trump e della sua politica dei dazi. Anche se è difficile prevedere quanto possano impattare l’Italia. “Fare previsioni in questo momento è impresa assai ardua, anche perché gli annunci e le decisioni si susseguono molto rapidamente”, spiega a Italian Tech Alberto Antonietti, vicepresidente di Assoconsult. “In un primo momento il nostro export potrebbe soffrire, così come quello di altri Paesi. Tuttavia, è più diversificato rispetto a quello tedesco, che è molto concentrato sull’automotive. Il nostro rapporto dice che oggi il nostro export raggiunge già molti paesi nel mondo. Ma se la situazione dovesse peggiorare, ci sarebbero ancora possibilità di espandersi in altre aree, come l’India e la Cina, nonché Medio Oriente. Sappiamo che lì ci sono ulteriori opportunità di crescita. Detto questo, ci vorrà del tempo per aprire nuovi mercati. La buona notizia è che il sistema italiano è molto reattivo e agile, e potrà sfruttare queste caratteristiche ancora una volta, come già successo più volte in passato”, aggiunge Antonietti.
Il “buono e bello” dell’Italia senza innovazione non è più abbastanza
L’Italia non è soltanto fashion e food. Tra i principali settori dell’export ci sono macchinari ad alta tecnologia, farmaceutica, chimica, apparecchi ottici, componenti per autoveicoli. Ma fare le cose per bene, belle e di design, potrebbe non essere più sufficiente in futuro per la competitività del nostro export. E arriva dalla crescente qualità dei prodotti, soprattutto quelli provenienti dalla Cina. “Fino al 2020, la Cina era sinonimo di produzione a basso costo, ma ora non è più così. C’è stato un grande salto in termini di innovazione e tecnologia. Oggi, tra le prime 100 università al mondo in ambito Stem, solo 3 sono europee, 5 nel Regno Unito e Svizzera, mentre in Cina ce ne sono 15. La caratteristica che ha reso grande il Made in Italy – il design, lo stile e la qualità dei prodotti, insieme all’Italian way of life – è ancora importante, ma senza innovazione e senza attenzione alle dinamiche globali, questo modello potrebbe risultare meno competitivo, soprattutto nei settori a più alta intensità tecnologica dove meccanica e digitale si mischiano sempre più”, ragiona Antonietti. Per questo non c’è altra strada che puntare sull’innovazione. Dei prodotti e delle tecnologie usate.
Il rapporto tra ricerca e impresa ancora da costruire: “Non ci sarà spazio per ricerche senza finalità per sempre”
Uno dei punti critici che emergono dal rapporto è la frammentazione dei soggetti che si occupano di innovazione in Italia. Manca un coordinamento tra università, centri di ricerca e imprese. Qualcosa che faccia in modo che l’innovazione teorica diventi anche innovazione pratica, prodotti, tecnologie, design. “Questo è un tema che va affrontato con decisione. Non credo che avremo ancora molto tempo e molte risorse per concentrarci solo sulla ricerca pura. Dobbiamo indirizzare la ricerca verso applicazioni industriali a breve e sul trasferimento tecnologico. Lo so che quello che sto per dire è poco popolare nell’ecosistema della Ricerca, ma è importante introdurre logiche di programmazione e managerialità nella gestione della stessa, per fare in modo che sia finalizzata a obiettivi più concreti e con applicazioni più ravvicinate nel tempo”, spiega Antonietti. “La ricerca deve essere maggiormente orientata verso politiche industriali nazionali e alle esigenze delle aziende. E le aziende, da canto loro, devono fare la loro parte contribuendo maggiormente al processo sia in termini di orientamento degli investimenti, sia con un maggior finanziamento degli stessi”. L’innovazione che al momento arranca dai laboratori universitari, non trova terreno troppo fertile nemmeno sul lato delle startup e del venture capital. Pochi campioni nazionali, numeri sugli investimenti in crescita ma ancora bassi rispetto alla media europea e mondiale. “Abbiamo pochi unicorni e il maggiore venture capital nazionale è Cassa depositi e prestiti”, continua Antonietti.
Le Pmi italiane e l’Intelligenza artificiale che se c’è è usata
Assoconsult si impegna a traghettare il made in Italy nella direzione dell’innovazione. Ma l’innovazione è un treno che corre veloce. Quello che è nuovo oggi potrebbe diventare obsoleto in pochissimo tempo. L’IA è un esempio concreto di quello che può offrire alle aziende, ma anche quanto sia rapido lo spostamento delle frontiere del nuovo. Le Pmi italiane non sono troppo piccole per affrontare questi cambiamenti? E hanno gli strumenti per gestirli? “In generale, le PMI fanno fatica a gestire l’innovazione tecnologica, e questo è un aspetto storico della nostra imprenditorialità. L’Intelligenza Artificiale è più accessibile, ma in generale c’è poca attenzione e difficoltà nell’applicare queste tecnologie. Le PMI, però, sono molto pragmatiche. Se sanno come fare, lo fanno. Occorre quindi offrire loro soluzioni pratiche che possano risolvere problemi concreti: penso a strumenti IA per la pianificazione delle vendite, per la logistica, per la gestione della supply chain (catene di approvvigionamento, ndr). Se si propongono soluzioni verticali, tarate sulle esigenze specifiche delle aziende e sui processi critici da gestire, sono più disposte ad ascoltare e ad adottarle”, conclude Antonietti.
L’export italiano nel mondo: i dati di Assoconsult
Quanto ai numeri del report di Assoconsult, l’Italia si è detto, è uno dei principali esportatori a livello mondiale. Ancora nel 2022 le principali economie per quote dell’export mondiale rimangono i colossi Cina (19,0%), Germania (8,5%) e Stati Uniti (7,9%). Ma l’Italia si posiziona al 6° posto, con una quota di mercato pari al 3,2%. Un risultato che ha sorpreso gli analisti è il numero di mercati raggiunti dall’Italia: l’export italiano raggiunge il 40,3% dei mercati potenziali. Per avere un confronto, la Cina raggiunge il 68%, con una popolazione che conta circast 1,4 miliardi in più di persone. A livello mondiale, l’Italia si posiziona al quarto posto per export preceduta solo da Germania (45,5%), Stati Uniti (47,7%) e appunto la Cina. Inoltre le economie avanzate risultano i principali importatori dei prodotti italiani. Il maggior importatore di prodotti italiani è la Germania con una quota pari al 12,8%, seguita dalla Francia con una quota pari al 10.3% e dagli Stati Uniti con il 10.2%.
Fonte : Repubblica