Solo tra qualche decennio gli storici potranno iniziare a valutare con metodo e lucidità l’impatto che gli ultimi cinque anni hanno avuto sul corso della storia umana. Una pandemia globale, un nuovo conflitto nel cuore dell’Europa, un’azione di impunito sterminio in Medioriente, la recrudescenza di neofascismi e la diffusione di democrature tech-oligarchiche un po’ ovunque. Insomma: davvero un sacco di cose da processare.
Che hanno dilatato a dismisura la percezione di un quinquennio attraversato da un perenne senso di morte, il quale ci ha lasciato tutti a boccheggiare immersi nell’idea dell’apocalisse. Ma se c’è un antidoto da somministrare per uscire fuori da questo scacco mentale, sta nell’atto dell’esercizio culturale. E nell’orizzonte culturale che si è propagato dal 2020 in poi, pochi hanno saputo segnare quella che potremmo già definire ‘un’epoca’ nel modo in cui l’ha fatto Normal People. Una serie che ha cambiato tutto, e che dall’11 aprile torna in chiaro su RaiPlay.
Normal People ha segnato un nuovo divismo
Parliamoci con franchezza: anche Normal People ci ha fatto boccheggiare e singhiozzare. E non poco. Adattata a partire dal romanzo omonimo dell’irlandese Sally Rooney, che partecipa anche alla stesura di alcuni dei 12 episodi, è arrivata per la prima volta nel mezzo proprio della pandemia prodotta dalla BBC e distribuita su Hulu (in Italia ai tempi venne rilasciata su Starzplay). È il racconto accorato di due anime che si toccano e rimangono intrecciate l’una all’altra nel corso degli anni, pure nel momento in cui si separano o quantomeno vorrebbero tentare di farlo.
Connell è di famiglia modesta, il più popolare della scuola, atleta attraente e desideratissimo. Marianne è invece benestante, scostante e brusca nei modi, tenuta a distanza da chi le sta intorno. Lui è Paul Mescal, lei è Daisy Edgar-Jones. Due tra i volti più in voga della loro generazione, rispettivamente classe 1996 e 1998. E Normal People è lo show che li ha lanciati nella stratosfera dello star system contemporaneo, un divismo cioè commentatissimo sui social, rimbalzato tra un TikTok e un meme, eppure dimesso nei modi, modesto, da famoso della porta accanto.
Edgar-Jones sta emergendo più di recente, protagonista di film come Twisters o Fresh. Ma Mescal è il nuovo wonder boy di Hollywood, già candidato agli Oscar per il magnifico Aftersun, nonché protagonista de Il gladiatore II e vincitore di un Laurence Olivier Award per l’interpretazione di Stanley Kowalski nella rappresentazione teatrale di Un tram chiamato desiderio. La sua però non è solo la nascita di una nuova star (è sempre emozionante assistere, performance dopo performance, al formarsi di un volto che segnerà l’immaginario collettivo per il domani a venire), ma anche la coltivazione di una nuova idea di mascolinità percepita. Solidale, paritaria, rassicurante.
Una nascente generazione culturale
La serie diretta da Lenny Abrahamson e Hettie Macdonald in proposito ha giocato un ruolo fondamentale, perché ha raccontato Connell e Marianne esattamente nella maniera in cui preannuncia il titolo: come due persone qualunque. Scombussolate sì dalle turbolenze di un rapporto d’amore frastagliato e mai del tutto risolto, ma nella maniera in cui può essere frastagliato il mio, il tuo, il nostro di rapporto.
La campagna irlandese della contea di Sligo, che si affaccia sui grigiori dell’oceano Atlantico, è viatico a un sentimento di radicata malinconia, che attecchisce e non cede nemmeno quando la serie si allontana da quei luoghi in cui tutto parte, arrivando a Dublino, tra le colline italiane, in Svezia. Uno scenario perfetto per la perfetta pietra angolare di una nuova generazione culturale, a cavallo tra il tramonto Millennial e l’alba della Gen Z.
Una generazione di passaggio che ha scoperto un nuovo modo dello stare al mondo, rassegnata all’evidenza di dover avere a che fare con le scorie di ideologie inadatte alle sfide del futuro, e quindi desiderosa di viaggiare, uscire e aprirsi alla possibilità di esplorare nuove dimensioni dei rapporti umani, intimi, identitari.
Il fenomeno Sally Rooney
Una generazione però anche frustrata, incupita e spesso fiaccata dalla depressione, un quadro che è sintomatologia chiara e diffusa delle asfissianti strutture sociali ed economiche in cui viviamo. E che Sally Rooney, autrice nata nel 1991, ha ben compreso e messo bene a fuoco ponendola come tappeto riflessivo dei suoi romanzi, che sono tanto vitali quanto clinici, e che con il suo lavoro letterario l’hanno resa di fatto un araldo, una voce autorevole e riconoscibile attorno alla quale raccogliersi.
Nonché, di rimando, l’hanno elevata a fenomeno di costume. Basti pensare alle file fuori dalle librerie in trepidante attesa per accaparrarsi una copia del suo ultimo libro, Intermezzo, o alla massiccia campagna marketing per l’opera precedente, Dove sei, mondo bello, che sollevò anche qualche critica perché ritenuta in contrasto con le esplicite idee marxiste dell’autrice.
Normal People ad oggi resta probabilmente il suo libro migliore, il più intenso, il più sincero – nonché un bestseller da oltre un milione di copie vendute. E Normal People, la serie, resta l’affresco romantico che in questi anni ha meglio tracciato le coordinate d’amore e rabbia tra due individui che incanalano la moltitudine d’anime di un presente turbato ma non sconfitto. Una formula che Abrahamson ha provato a replicare con Conversations with Friends nel 2022, altro show tratto dal primo libro di Rooney, che tuttavia non cattura la stessa, inarrivabile, profondità di Normal People.
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Fonte : Today