Dazi e terre rare, Trump ha sbagliato i conti anche sulla grafite

Mercoledì 9 aprile nella storica Scuola Grande di San Rocco, nel cuore di Venezia, la società italiana guidata da Di Donato ha inaugurato l’Alkeemia battery forum 2025, una tre giorni con professionisti e aziende leader che operano nell’ecosistema delle batterie. Tra i nomi, Iveco, Ferrari, Nio, Catl, Faam e Aac. L’obiettivo è favorire la crescita del mercato europeo delle batterie, creando connessioni strategiche lungo tutta la catena del valore e offrendo una panoramica approfondita sui progetti più rilevanti in corso. Il forum è strutturato attorno a tre macro-temi cruciali per il settore delle pile: elettroliti e additivi, produttori di batterie e sostenibilità, e le materie prime necessarie con un focus proprio sulla grafite.

Lavorare la grafite: la Cina (per ora) batte tutti

“La Cina prende il litio dall’Australia e il cobalto dal Congo, ma la differenza sulle batterie elettriche la fa la capacità tecnologica di lavorazione della grafite. Noi oggi siamo un cliente della Cina: e lo stesso vale per gli Stati Uniti, spiega il manager.

Secondo Di Donato ciò che allarma la Cina è la ricerca, su cui l’Europa sta facendo passi da gigante: “Se domani vuoi fare la rivoluzione tecnologica devi essere un cliente della Cina. Quello che stiamo provando a fare è portare la tecnologia in Europa, ma una tecnologia completamente diversa rispetto a quella cinese. Perché in Cina per purificare la grafite si usa l’acido fluoridrico, che è il metodo più efficiente. Il materiale è bagnato con questo acido, poi lo si lava e lo scarto contaminato da acido fluoridrico è riempito d’acqua fino ad abbattere il pH acido. Da noi è illegale anche solo pensarlo: in Cina, invece, è lecito agire in questo modo. Ora la nostra azienda sta costruendo il primo impianto pilota in Europa per lavorare la grafite in modo corretto in termini di scarti, in un’ottica di circolarità piena delle risorse impiegate”.

Dazi e terre rare, bisogna bussare sempre a Pechino

Una riflessione finale va invece alla corsa di Trump nell’accaparramento di terre rare, dalla Groenlandia all’Ucraina: è davvero ciò che serve agli Usa? “Ogni progetto minerario si basa comunque sul mismatch tra cosa ti serve per rendere un investimento produttivo e l’effettiva disponibilità del materiale. Qualunque miniera che parta adesso ci metterà tra i 5 e i 10 anni per diventare profittevole a livello economico rispetto all’investimento iniziale. Ma tu da domani hai bisogno di questi materiali: per questo, è statisticamente impossibile che gli Stati Uniti possano fare a meno della Cina per le terre rare. È impossibile che il mondo occidentale possa fare a meno delle materie prime cinesi, pensando ai prossimi 2 o 3 anni. Su alcune terre rare si possono trovare alternative, per altre no”, spiega Di Donato.

Così appare chiaro come il braccio di ferro in atto con la Cina proprio in questi giorni, dove i dazi americani verso il paese del Dragone sono schizzati dal 34% al 104%, sia un azzardo molto pericoloso per la filiera di aziende a stelle e strisce coinvolte nella transizione ecologica. A partire dalle ex prime della classe nel comparto automotive elettrico mondiale, le Tesla di Elon Musk, oggi oggetto di boicottaggio commerciale da parte di privati e domani vittime di una guerra dei dazi imposta dal Commander in Chief a tutto il mondo: incluso il deus ex machina del Doge.

Fonte : Wired