Wall Street fa muro
Se la tenuta della Casa Bianca scricchiola, figurarsi ciò che sta avvenendo a Wall Street. Ray Dalio, fondatore di Bridgewater Associates, il più grande hedge fund del mondo, ha già vaticinato che “le conseguenze immediate saranno significativamente stagflazionistiche negli Stati Uniti”. Bill Ackman, fondatore e amministratore delegato di Pershing Square Capital Management, tra i più granitici sostenitori di Trump, su X ha di fatto avvertito il presidente di fare pulizia tra i suoi consiglieri: “Non aiuta la posizione negoziale del nostro paese e del nostro presidente cercare di concludere accordi mentre il nostro mercato sta crollando. Chiunque stia raccomandando questa idea a Trump dovrebbe essere licenziato subito”. L’amministratore delegato di JPMorgan Chase Jamie Dimon ha parlato di economia rallentata e di un possibile aumento dell’inflazione, mentre il capo economista di Goldman Sachs, Jan Hatzius, ha detto che ora il rischio recessione negli Stati Uniti s’è fatto maggiore.
Oppure Trump crede davvero nel potere dei dazi?
Chi sostiene che Donald Trump non usi i dazi come clava, ma anche come strumento per riequilibrare una situazione economica a suo dire svantaggiosa per gli States sottolinea che il tycoon, arrivato alla fine della sua corsa politica (anche se in America si discute parecchio sulla possibilità di un terzo mandato, vietato espressamente dal 22esimo emendamento della Carta costituzionale), pur di concretizzare il proprio progetto sarebbe disposto a giocarsi il tutto per tutto. Per questo risulterebbe perciò più sordo che mai alle critiche che gli stanno piombando addosso da tutte le parti. Trump, del resto, non dovrà infatti più bussare alla porta degli americani in cerca di consensi, sebbene l’appuntamento con le elezioni di mid-term rischi comunque di azzopparlo nella seconda metà del mandato. Uno scenario più opaco, dopo il passo indietro delle ultime ore, ma Trump ci ha abituati a cambi repentini che tengono sullo scaffale anche il piano più fantasioso.
Quelle frasi rivelatrici del Trump-pensiero…
Libby Cantrill, head of US Public Policy di Pimco (un gestore americano di investimenti), in una sua recente analisi ha rispolverato due dichiarazioni che lascerebbero intendere che Trump avesse in mente di far scoppiare questa guerra commerciale… persino negli Anni ’80. Quando diventare presidente era qualcosa di più di un sogno. Nel 1987, in un’intervista rilasciata a Larry King, Trump disse di essere “stanco di vedere altri paesi fregare gli Stati Uniti“, e nel 1988, al David Letterman Show, ribadì il concetto facendo perno sui deficit commerciali: “Se guardate a ciò che certi Stati stanno facendo a questo paese… Voglio dire, si sono completamente approfittati dell’America. Sto parlando di deficit commerciali. Vengono qui e parlano di libero scambio. Ci rifilano auto e videoregistratori e tutto il resto“.
Frasi che potrebbero essere facilmente confuse con le dichiarazioni che il tycoon rilascia quotidianamente – sebbene nel mentre abbia diminuito parecchio il garbo -, eppure provengono da un’era economica fa, quando gli Stati Uniti erano cioè nel pieno di quell’epopea commerciale reaganiana ultra-liberista che tirava la volata a un’economia statunitense nel pieno del proprio splendore.
Eppure proprio allora, il 22 novembre del 1985, fu firmato l’accordo del Plaza con i membri del G5 dell’epoca (Francia, Giappone, Gran Bretagna, Repubblica federale tedesca più Canada) per svalutare il biglietto verde e aiutare così quei settori dell’economia che risentivano maggiormente della perdita di competitività sui mercati internazionali. Un accordo che Stephen Miran, ritenuto l’ideologo dei dazi trumpiani, vorrebbe non a caso aggiornare quarant’anni dopo a Mar-a-Lago.
Fonte : Wired