Port Moresby (AsiaNews) – Il ministero delle Miniere della Papua Nuova Guinea ha promosso una consultazione pubblica relativa al disegno di legge sulle miniere 2025, per consentire alle parti interessate e al pubblico di fornire un feedback entro il 4 aprile 2025. In qualità di ente per la giustizia, la pace, il soccorso e lo sviluppo della Chiesa cattolica in Papua Nuova Guinea e ispirata dagli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, che si concentrano sulla persona e sul bene comune, Caritas PNG si è sentita in dovere di occuparsi della questione e di evidenziare alcune preoccupazioni morali e sociali rilevanti.
Il disegno di legge sulle miniere della Papua Nuova Guinea per il 2025, che sarà approvato entro pochi mesi, sembra essere completo e innovativo nel sostituire la legge del 1992. Il testo cerca di rispondere in modo chiaro alle esigenze e agli interessi non solo dell’industria, ma anche alle implicazioni per il governo nazionale e locale, per i proprietari terrieri e per i cittadini. Contiene disposizioni più favorevoli all’esecutivo e alla comunità nazionale della PNG rispetto al Mining Act del 1992, che sarà presto abrogato. Ad esempio, l’attività di estrazione mineraria alluvionale è ora strettamente riservata ai cittadini, modifica già introdotta nel 2021 al Mining Bill del 1992. Inoltre conferma la creazione di un centro di raccolta dei dati minerari governativo, legato a un emendamento anch’esso del 2021 e che impone alle cave operative di inviare in tempo reale i dati di estrazione ed esportazione a un organismo centrale presso l’Autorità per le risorse minerarie.
Una panoramica generale sullo stato dell’industria estrattiva (mineraria, petrolifera e del gas) in Papua Nuova Guinea è stata fornita poche settimane fa in una dichiarazione pubblica dell’ex ministro delle Miniere Muguwa Dilu (ora sostituito da Rainbo Paita). Nella nota, riportata da PNG Business News online il 25 marzo 2025, l’allora ministro dichiarava: “L’industria ha sempre rappresentato più dell’80% delle entrate totali delle esportazioni della PNG. Svolge un ruolo significativo nel sostenere lo sviluppo delle competenze, l’imposta sul reddito salariale, le opportunità di lavoro e lo sviluppo di progetti comunitari”. Alcuni, tuttavia, contestano il diritto del ministro delle Miniere di discutere di questioni relative al petrolio e al gas (che sono di competenza del dicastero del Petrolio e dell’energia), per non confondere i dati relativi a petrolio e gas con quelli dell’industria mineraria.
L’ex ministro Dilu ha inoltre ricordato che, secondo il Rapporto 2019 dell’Iniziativa per la trasparenza dell’industria estrattiva, l’anno in questione ha registrato un totale di 32 miliardi di PGK (Kina papuana, poco più di 7 miliardi di euro) di contributi dalle industrie del settore. Tuttavia, solo il 18,5% (6,14 miliardi di PGK) di questa somma è stato ricevuto da entità della Papua Nuova Guinea. E di questi, solo il 3,7% (1,2 miliardi di PGK) è andato al Governo nazionale. “In quell’anno, il settore minerario – afferma – ha contribuito da solo a circa il 44% (15 miliardi di PGK) dei ricavi totali delle esportazioni e le industrie estrattive hanno contribuito collettivamente all’86% del volume delle esportazioni dal Paese. Tuttavia, solo il 7% di queste entrate è stato destinato al governo”.
In realtà, considerare solo rapporti e studi relativi ad una sola annata potrebbe essere fuorviante anche perché dal 2019 vanno riconosciuti gli sforzi del governo Marape-Rosso per aumentare i benefici alla nazione, anche se i risultati devono ancora essere percepiti e valutati. L’industria estrattiva lavora su piani e progetti a lungo termine, con la necessità di compensare i costi di investimento e il capitale nella prima fase di accesso a specifiche risorse naturali destinate all’estrazione.
Sempre secondo quanto riportato da PNG Business News su dati forniti da Dilu, facendo una panoramica della produzione mineraria della Papua Nuova Guinea nell’ultimo quinquennio la media annua di metalli è stata la seguente: oro 2,4 milioni di once; rame 84.500 tonnellate di concentrato; nichel 33.500 tonnellate; cobalto 3mila tonnellate; cromite 123mila tonnellate di concentrato. Le principali miniere di oro e rame sono Ok Tedi (nell’ovest), Lihir (Nuova Irlanda) e Porgera (Enga). Per il nichel vi è Ramu Nickel nella provincia di Madang. Complessivamente, l’industria mineraria rappresenta il 20% del Prodotto interno lordo (Pil) della nazione.
L’ex ministro ha anche menzionato la potenziale chiusura delle principali cave e l’esaurimento delle risorse minerarie. Al riguardo, egli ha definito come “degno di nota il potenziale termine della vita mineraria delle principali miniere esistenti in PNG: per le miniere d’oro entro il 2053 e per le miniere di rame entro il 2065”. Secondo il direttore generale dell’Autorità per le Risorse minerarie (Mra) Jerry Garry le entrate derivanti dalle esportazioni minerarie dovrebbero essere pari a 30 miliardi di kune nel 2025. Un obiettivo che è però soggetto ai prezzi dell’oro, ai tassi di cambio bassi e al raggiungimento della piena produzione nella miniera di Porgera, mentre l’anno scorso il dato sulle entrate si è attestato a quota 19 miliardi di kune (The National, 3 Aprile 2025).
Pur esprimendo un’opinione generalmente positiva sul progetto di Legge sulle miniere 2025 e consapevole del fatto che l’attività mineraria non potrà mai essere totalmente pulita, sicura e rispettosa dell’ambiente, Caritas PNG ritiene che sia necessaria un’ulteriore riflessione e che si debbano apportare modifiche ad alcune parti del disegno di legge in almeno quattro aree di interesse: due riguardanti l’ambiente e due l’impatto sulla comunità.
L’esperienza ha dimostrato negli ultimi decenni che un progetto minerario situato a monte di un bacino fluviale molto ampio è responsabile di una quantità spaventosa di danni ambientali e di disagi per la comunità, nonostante tutte le misure di mitigazione adottate, reali o dichiarate. È l’evidente destino del fiume Fly nella Provincia Occidentale e il futuro del fiume Sepik, se il progetto della miniera di Frieda riceverà le autorizzazioni a procedere. Gli effetti negativi dell’attività mineraria non possono mai essere totalmente evitati. Tuttavia, la nuova norma dovrebbe prevedere un limite di 50 km o di 75 km dalla costa, perché un nuovo progetto minerario possa essere preso in considerazione. Il potenziale inquinamento della sola miniera di Frieda, situata a più di 200 km nell’entroterra, avrebbe ripercussioni sulla vita di mezzo milione di persone e sull’ecosistema unico di quasi centomila chilometri quadrati.
L’estrazione offshore è ancora più preoccupante. Non è presente nella legge sulle miniere del 1992 ed è stata inserita nella Parte VII (147-156) dell’attuale progetto di legge sulle miniere. L’attività estrattiva offshore non è stata ancora attuata da nessun Paese né nelle Zone Economiche Esclusive né nelle acque internazionali, per le quali l’Autorità internazionale dei fondali marini (Isa) non ha ancora concesso alcuna licenza “poiché vi è ancora disaccordo tra i 36 Stati nazionali membri del Consiglio Isa (168 Stati membri in totale) sul fatto che l’attività estrattiva in acque profonde sia considerata sicura dal punto di vista ambientale” (Weathering the Storm, Sydney, novembre 2024). L’esitazione abbraccia un’ampia gamma di preoccupazioni: le rotte migratorie dei pesci e dei grandi mammiferi marini come le balene, il rumore sottomarino che può disturbare l’ecosistema marino e i suoi modelli comportamentali, l’impatto sull’industria della pesca e sulla dipendenza delle comunità costiere dai prodotti del mare, le correnti oceaniche che portano i rifiuti, gli sterili e le sostanze chimiche velenose a qualsiasi distanza dal sito di trivellazione, il danno ambientale al mare e alla costa col possibile spostamento degli insediamenti umani che non hanno alternative di terra e di sostentamento. In considerazione di questi rischi evidenti, massicci e molto probabili (e di altri ancora imprevisti), Caritas PNG nel suo documento presentato il 4 aprile scorso ha chiesto la rimozione della Parte VII (Miniere offshore) dalla versione finale del Mining Act 2025 e l’imposizione di una moratoria permanente su questa pratica. Niente miniere offshore nel futuro della Papua Nuova Guinea. Le comunità costiere lo rifiuteranno sicuramente se si trova all’interno della Zona Economica Esclusiva della PNG, mentre sarà più difficile opporsi, pur subendo le stesse conseguenze negative, se si trova più al largo, in acque internazionali.
Un motivo in più, quindi, perché Caritas PNG sostenga una proposta specifica del Centre for Environmental Law & Community Rights Inc. (Celcor), con sede a Port Moresby, per il disegno di legge sulle attività minerarie del 2025: aggiungere e includere il consenso libero, preventivo e informato (Fpic) come disposizione separata nella legge. In questo modo, si rende obbligatoria una consultazione completa e una mappatura sociale prima di svolgere qualsiasi attività mineraria. L’interazione dei richiedenti minerari con le comunità locali dovrebbe essere monitorata da organismi indipendenti, per evitare facili manipolazioni di comunità remote e scarsamente istruite. “I proprietari terrieri devono essere pienamente considerati, poiché gli impatti ambientali negativi dell’attività mineraria spesso superano i benefici percepiti dagli sviluppi estrattivi all’interno delle loro comunità” (nota di Celcor). Non è un mistero che le aziende che normalmente si spacciano per “sviluppatori” (non solo nel settore minerario) siano in realtà degli “sfruttatori”. E comprare i leader delle comunità locali e dividere i proprietari terrieri con privilegi e vantaggi per ottenere meglio il consenso è una pratica diffusa.
La Caritas PNG suggerisce anche di esaminare meglio la Parte II.8.1 (Proprietà dei minerali) del Progetto di Legge sulle Miniere 2025, dove si afferma che “Tutti i minerali esistenti su, all’interno o al di sotto della superficie di qualsiasi terra in Papua Nuova Guinea, compresa l’area offshore di Papua Nuova Guinea, e tutti i minerali contenuti in qualsiasi acqua che giace su o sopra qualsiasi terra di Papua Nuova Guinea, sono di proprietà dello Stato”. In effetti, questa è la legislazione applicata praticamente in tutto il mondo, e può essere una garanzia contro eventuali attori esterni o titolari di un tenement (licenza di esplorazione mineraria o contratto di locazione mineraria) che rivendicano indebitamente i minerali come loro proprietà. Ma nella cultura melanesiana, in cui le popolazioni sono legate in modo vitale alla loro terra, è probabile che diventi controversa e che generi facilmente opposizione, sfiducia e forse livelli di violenza ancora invisibili nei rapporti con i proprietari terrieri consuetudinari. Forse la proprietà potrebbe essere formulata come condivisa con le comunità ancestrali della terra, e la protezione e la valorizzazione delle ricchezze minerarie un privilegio e un dovere dello Stato in consultazione con loro. La posta in gioco, infatti, è per lo più il benessere e la mera sopravvivenza degli insediamenti umani più remoti, poveri e indifesi della Papua Nuova Guinea e degli ecosistemi che li circondano.
* missionario del Pime, responsabile advocacy di Caritas Papua Nuova Guinea
Fonte : Asia