Death of a Unicorn, il nuovo film targato A24 di mostruoso ha solo la noia

Tempo di mostri, sangue e satira, tempo di A24, tempo di Death of a Unicorn. Beh, almeno in teoria, perché la nuova creatura della casa di produzione diventata simbolo di sperimentazione di genere e creatività, a dispetto di un grande cast e di un’idea per nulla male, si rivela un film al massimo medio e incapace di fare il giusto salto di qualità.

Un weekend in montagna, alcuni miliardari e una creatura magica

Death of a Unicorn porta la firma a livello di sceneggiatura e di regia di Alex Scharfman fino ad oggi produttore e sceneggiatore e alla sua prima come regista in un lungometraggio. La A24 assieme a Ley Line Entertainment ed altre case di produzione minori ha messo sul piatto più o meno 15 milioni di dollari, nulla di incredibile, per cercare il classico colpaccio al botteghino in stile Hereditery, Everything Everywhere All At Once o Heretic. Al momento però bisogna constatare che questo mix tra horror, commedia e satira politica non è che stia facendo impazzire il pubblico e tantomeno la critica. Questo a causa di una certa incertezza di fondo dell’insieme, di un’instabilità di tono ed intenzione che fa sì che Death of a Unicorn rimanga un insieme di potenzialità lodevoli, purtroppo inespresse, un macinino che poteva essere se non una Ferrari, almeno un discreto fuoristrada. Al centro troviamo Elliot (Paul Rudd) e Ridley Kitner (Jenna Ortega), padre e figlia in viaggio verso la residenza della potentissima famiglia Leopold, nel mezzo alle Montagne, in una riserva naturale. Elliot è l’avvocato che dovrebbe curare gli interessi dei Leopold, in particolare del capofamiglia, il ricchissimo ma ormai in fin di vita Odell (Richard E. Grant). Questi è uno degli uomini più potenti del mondo, un magnate a cui però un tumore ha reso sempre più imminente il trapasso.

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Sposato con Belinda (Téa Leoni) e padre dell’altrettanto arrogante e narcisista Shepard (Will Poulter), Odell con una ristretta servitù vive come una sorta di Re Sole in quel cottage di lusso, quasi separato dal resto dell’universo. Elliot e Ridley non hanno un rapporto facile, anche a causa della morte della moglie di Elliot, ma soprattutto per la determinazione da parte di Elliot di fare colpo sui Leopold, costi quel che costi. Mentre guidano per quei sentieri di montagna, i due travolgono e uccidono un cavallo selvaggio… o almeno così sembra all’inizio. Ma appena scesi dall’auto si rendono conto che si tratta di un unicorno. La creatura, ferita gravemente, dimostra però di avere una forte connessione con Ridley e di essere in possesso di poteri magici. Giunti con la carcassa nella residenza dei Leopold, i due si trovano infine coinvolti da una sorta di isteria collettiva, nel momento in cui appare chiaro che il corno dell’animale ha poteri guaritivi. Ma a parte Ripley, nessuno pare aver realizzato che scherzare con le creature magiche, potrebbe non essere un’idea proprio magnifica. Death of a Unicorn riesce ad essere visivamente un gradevole omaggio ai fantasy, agli horror e ai b-movies di genere che resero gli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 qualcosa di magico. A dispetto di una CGI non sempre entusiasmante, gli unicorni ci appaiono esattamente come dovrebbero essere: possenti, implacabili, eppure affascinanti, nel rappresentare qualcosa di arcano, incontrollabile, in poche parole la natura stessa.

Un film che spreca il meglio delle sue potenzialità

Death of a Unicorn vuole però essere soprattutto una metafora politica, con cui mettere alla berlina i moderni super ricchi, quelli che si autoproclamano guru, geni, grandi leader, ma che nella realtà sono un concentrato di cupidigia, narcisismo patologico, falsità ed ipocrisia come non si è mai verificato nella storia moderna. Richard E. Grant, Téa leoni e Will Poutler si rifanno ai Trump, a Rockefeller, ai Kennedy, ma che si rifà anche alla narrazione autoincensante di Elon Musk, Bill Gates e Jeff Bezos. Ai Leopold non si può applicare alcun limite o autorità, sono diversi dalla legge come George Orwell aveva concepito, sono i nuovi aristocratici. Interessante anche la caratterizzazione che Paul Rudd dà al suo Elliot, il classico piccolo borghese mediocre, nevrotico, insopportabile, perfetto esempio del moderno cittadino medio, che invece di lottare per i propri diritti e la propria dignità, è capace di ogni sconcezza, di ogni umiliazione fantozziana pur di soddisfare il suo padrone, per qualche briciola di quell’immensa ricchezza rappresentata da quella creatura. Traslato nel mondo moderno potremmo sostituirlo con il petrolio, l’intelligenza artificiale, la Groenlandia con le sue terre rare o qualsiasi altra cosa. Il problema però è che Death of a Unicorn non riesce a scegliere il tono giusto e soprattutto cambia direzione ogni due minuti. Se la prima metà è abbastanza soddisfacente, la seconda invece comincia a prendersi drammaticamente sul serio.

Fonte : Wired