Fermentare nello spazio? Una pasta di miso prodotta in orbita dimostra che si può fare

Fermentare nello spazio non è fantascienza ma realtà. La fermentazione, una delle tendenze più in voga negli ultimi anni, è un processo naturale ad opera di lieviti, batteri o muffe che decompongono composti organici, come zuccheri o proteine, producendo in cambio energia, gas, alcol e una miriade di composti gustativi ed aromatici. Una pratica che abbiamo imparato a governare da millenni per estendere la conservazione dei cibi, tanto da essere stata, secondo alcuni, l’innesco che ha portato all’espansione del cervello umano contribuendo alla nostra unicità. La troviamo all’opera, tra gli altri, nel caffè, nel lievito madre, nella birra, nello yogurt, nella kombucha e nelle culture di tutto il mondo, dalla Norvegia all’Australia. E grazie a un nuovo studio pubblicato su iScience, sappiamo ora che può avvenire anche nello spazio.

Un miso spaziale

Un team interdisciplinare e internazionale di ricercatori ha infatti spedito a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), che orbita intorno alla Terra a circa 400 km dalla superficie terrestre, una miscela composta da soia cotta, riso kōji (un riso inoculato con spore del fungo Aspergillus oryzae, usato per preparare il sakè e la salsa di soia) e sale. Sono gli ingredienti base del miso, il condimento di origine giapponese dalla consistenza simile al burro di arachidi, ricco del caratteristico e saporito umami, il quinto gusto. Il prodotto è stato fermentato per 30 giorni per capire se fosse possibile produrre il primo miso spaziale che, per paragone, è stato poi confrontato con altri due miso terrestri, originati dalla stessa miscela ma prodotti a Cambridge, nel Massachusetts degli Stati Uniti, e a Copenhagen, in Danimarca.

Houston, non abbiamo un problema

Quando il miso spaziale è ritornato sulla Terra, i ricercatori ne hanno studiato la sua sicurezza alimentare, analizzando i tipi di microrganismi presenti, i composti gustativi, quelli aromatici e, ovviamente, assaggiandoli. Ebbene, la prima scoperta è stata che il prodotto spaziale si può definire a tutti gli effetti un miso ed è sicuro da consumare: la fermentazione nello spazio è quindi possibile. Ci sono però differenze tra il miso spaziale e quelli terrestri. Intanto il colore, perchè la versione spaziale si è presentata più scura. E poi il sapore, perchè il miso preparato sulla ISS aveva un sentore più tostato e di nocciola, rispetto a quelli terrestri. Il gusto umami e l’odore sono invece rimasti pressocchè invariati e tutti e tre i prodotti sono stati ben apprezzati dagli assaggiatori. Poi, anche se si può pensare alle stazioni orbitanti come ambienti sterili, le comunità microbiche presenti nel miso spaziale si sono evolute diversamente da quelle terrestri. In ultimo, la fermentazione sembra aver progredito più in fretta nello spazio, forse grazie a una temperatura leggermente più alta, alla microgravità o a una esposizione maggiore alle radiazioni solari. Questi risultati confermano quelli di uno studio precedente, dove altri ricercatori hanno prodotto una birra in un laboratorio con condizioni di microgravità per simulare le condizioni dello spazio, ottendendo una fermentazione più rapida dei lieviti e un sapore diverso.

Una cura per la saudade?

Questo studio sul fermentare nello spazio non ha solo un importante riscontro pratico per le future spedizioni interstellari, perché apre la strada a nuove possibilità per conservare gli alimenti freschi e prolungarne la durata in condizioni così difficili. Ma offre anche un potenziale supporto nutrizionale agli astronauti, sfruttando i benefici sulla salute attribuiti agli alimenti fermentati e ai probiotici. E anche gustativo, considerato che il cibo consumato nello spazio sembra perdere di sapore, rendendo spesso necessario l’uso di spezie, condimenti o salse per apportare più personalità ai piatti. Già nel 2013, infatti, lo chef rivolese Davide Scabin ricorse all’uso dell’umami, sottoforma di formaggio grana e pomodori disidratati, per ridurre il sale ed aggiungere più sapore ai piatti della tradizione italiana per aiutare gli astronauti a far sentir meno la mancanza di casa. Per dirla con le parole di Buzz Lightyear, la fermentazione potrebbe aiutarci ad andare verso l’infinito…e oltre!

Fonte : Wired