I dazi di Trump hanno riportato l’economia al centro del dibattito pubblico. E scatenato un panico sulle Borse che oscilla tra correzione, per i più prudenti, e mercato orso, per i più pessimisti. Il 2 aprile 2025 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dato il via alla più imponente offensiva protezionistica dagli anni Trenta del secolo scorso, annunciando dazi sulle importazioni da oltre cento paesi del mondo. La mossa ha provocato immediate ritorsioni da parte dei principali partner commerciali di Washington, a partire dalla Cina, che ha imposto tariffe analoghe sui prodotti americani. L’escalation ha innescato il panico sui mercati finanziari globali: in pochi giorni sono andati in fumo oltre 5 mila miliardi di dollari di capitalizzazione, con ondate di vendite che si sono propagate dall’Asia all’Europa fino a Wall Street. A peggiorare il clima di incertezza contribuisce l’esitazione dell’Unione europea nel reagire all’offensiva di Trump. Nelle analisi degli esperti e nelle cronache finanziarie abbondano termini tecnici non facili da comprendere. Ecco un glossario essenziale per capire alcuni dei termini più importanti. Non è certo esaustivo, ma può essere utile per orientarsi.
Mercato orso e toro
Il tracollo delle borse seguito ai dazi trumpiani viene definito dagli analisti “mercato orso”. L’espressione identifica una fase prolungata in cui i prezzi delle azioni scendono in modo significativo, convenzionalmente almeno del 20% rispetto ai massimi recenti. La denominazione deriva dal movimento dell’orso quando attacca: un colpo dall’alto verso il basso, analogo alla direzione discendente dei prezzi. Sul versante opposto si colloca il “mercato toro”, caratterizzato da una tendenza rialzista persistente, in cui i prezzi salgono con costanza, richiamando il movimento ascendente delle corna del toro durante l’attacco. Questi concetti descrivono cicli economici strutturali, non semplici fluttuazioni quotidiane, e riflettono il sentiment generale degli operatori sull’andamento futuro dell’economia.
Correzione di mercato
Nella fase iniziale della crisi scatenata dalle misure protezionistiche americane, numerosi analisti hanno parlato di “correzione” del mercato. Questo termine tecnico definisce un calo temporaneo dei prezzi compreso tra il 10% e il 20% dai massimi recenti, senza raggiungere la soglia che configurerebbe un vero mercato orso. La correzione rappresenta un fenomeno fisiologico nel ciclo vitale dei mercati, un processo di autoregolazione che ridimensiona gli eccessi speculativi e riporta le valutazioni a livelli sostenibili. A titolo esemplificativo, quando le azioni di una società vengono scambiate a multipli eccessivamente elevati rispetto agli utili effettivi, una correzione tende a riequilibrare questo disallineamento. Dal punto di vista temporale, questi aggiustamenti si esauriscono nell’arco di alcune settimane o pochi mesi, non anni come nelle fasi di mercato orso, e spesso influenzano selettivamente alcuni settori anziché l’intero panorama borsistico. L’analisi storica dei mercati americani evidenzia come questi periodi di assestamento si manifestino ciclicamente, con cadenza media di 12-18 mesi.
Indice VIX
Le tensioni commerciali hanno determinato un’impennata dell’indice VIX (Volatility Index) fino a quota 60, livello osservato raramente nella storia recente e paragonabile solo ai picchi registrati durante la crisi pandemica del 2020. Questo sofisticato strumento finanziario, denominato anche “indice della paura”, misura la volatilità implicita delle opzioni sull’indice S&P 500 per il mese successivo. Più concretamente, l’indice quantifica il costo delle protezioni che gli investitori sono disposti a pagare per tutelarsi da potenziali oscillazioni future del mercato americano. Quando cresce la paura di forti oscillazioni, aumenta la domanda di queste protezioni e di conseguenza sale il loro prezzo, facendo salire anche il valore del VIX. L’interpretazione dei valori è semplice: sotto 20 indica mercati tranquilli; tra 20 e 30 segnala una moderata preoccupazione; oltre 30 indica ansia significativa; sopra 50 evidenzia un vero e proprio panico finanziario.
Stagflazione
La preoccupazione principale dopo l’annuncio dei dazi di Trump riguarda il rischio di stagflazione. Questo termine, che unisce “stagnazione” e “inflazione”, descrive una situazione economica in cui coesistono crescita debole, prezzi in aumento e disoccupazione elevata. I dazi commerciali possono produrre questo effetto attraverso un meccanismo diretto: da un lato, rendono più costosi i prodotti importati, spingendo verso l’alto i prezzi al consumo; dall’altro, riducono gli scambi commerciali globali, frenando la crescita economica e potenzialmente causando perdite di posti di lavoro. Questa combinazione mette in seria difficoltà le banche centrali, che si trovano davanti a un dilemma: alzare i tassi per combattere l’inflazione danneggerebbe ulteriormente la crescita, mentre abbassarli per stimolare l’economia potrebbe accelerare l’aumento dei prezzi. L’ultimo episodio significativo di stagflazione, verificatosi negli anni Settanta durante la crisi petrolifera, richiese anni di politiche monetarie severe per essere superato.
Fonte : Wired