La moka Bialetti finirà nelle mani di un’azienda cinese

Bialetti, il brand noto per l’iconico ‘Omino con i baffi’, potrebbe non indossare più i colori verde, bianco e rosso, che per decenni hanno caratterizzato il design della Moka Express, simbolo del made in Italy. Dopo mesi di indiscrezioni, Bialetti Industrie sembra vicina a un passaggio di proprietà in mani cinesi. Le trattative in corso puntano verso il fondo cinese Nuo Capital, guidato dal miliardario di Hong Kong Stephen Cheng, che sarebbe interessato all’acquisizione di una partecipazione di controllo nella celebre azienda italiana. 

Addio al tricolore?

Negli ultimi tempi si erano rincorse voci su possibili interessamenti da parte di big del lusso come Hermés o del gruppo Exor della famiglia Agnelli-Elkann, ma la stessa Bialetti ha fatto chiarezza con una nota ufficiale diffusa lo scorso 30 marzo: “Sono in corso negoziati esclusivamente con Nuo Capital, società di diritto lussemburghese, per l’acquisto di una quota di controllo”. Secondo gli analisti della banca d’investimento Intermonte, Nuo Capital “dovrebbe subentrare agli attuali azionisti, Francesco Ranzoni che detiene il 50 per cento e Sculptor holding con il 19,5 per cento”.

La storia della moka, la caffettiera sostenibile: da Bialetti a oggi 

L’operazione potrebbe avvenire direttamente o attraverso co-investitori e veicoli societari. Bialetti Industrie aprirebbe così la compagine a un investitore che ha già puntato su altre aziende del made in Italy: da Venchi e Bending Spoons a Slowear e Scarpa, un altro marchio storico italiano. La società di Hong Kong, guidato dalla famiglia Cheng e legata agli eredi di Émile-Maurice Hermès, non è nuova a queste operazioni: è infatti una società d’investimento che promuove l’arte e l’artigianato italiano di alta qualità in Asia. Non sorprende che tra i suoi progetti, spiccano anche collaborazioni con aziende come La Promemoria, Bottega Ghianda e Artemest, piattaforma dedicata alla promozione dell’artigianato d’eccellenza. L’interesse per Bialetti rientra in una strategia di espansione che punta a valorizzare brand iconici, sostenendone la crescita internazionale.

Nonostante le turbolenze dei mercati, il gruppo Bialetti ha chiuso il 2024 con un fatturato in crescita del 6 per cento, raggiungendo 150 milioni di euro. I dati finanziari mostrano un EBITDA (l’indicatore che aiuta a valutare il profitto di un’impresa, escluse le imposte, gli ammortamenti, i deprezzamenti e gli interessi aziendali) normalizzato a 23 milioni, con un incremento del 20 per cento rispetto all’anno precedente.  Tuttavia, resta il nodo dell’indebitamento, che si attesta a 81,9 milioni di euro. Un dato sostanzialmente stabile rispetto ai 78,9 milioni del 2023, ma che rappresenta comunque un elemento critico nel bilancio dell’azienda. Proprio questo aspetto potrebbe essere uno dei motivi principali che spingono verso l’operazione con Nuo Capital.

Moka Bialetti Exclusive (sito Bialetti)

L’accordo, ancora in fase di negoziazione, mira a rafforzare il piano industriale dell’azienda italiana, con un focus sull’espansione all’estero. C’è poi un altro aspetto da considerare, cruciale per la sopravvivenza del nome Bialetti: il perfezionamento dell’intesa porterebbe alla chiusura del rifinanziamento del 2018, estinguendo integralmente i debiti con i creditori. Il valore dell’operazione, secondo alcune stime, si aggira intorno ai 170 milioni di euro, ma la stessa azienda ha smentito queste cifre. In ogni caso, Bialetti ha precisato che non è stato ancora né raggiunto né sottoscritto alcun accordo vincolante con nessun investitore e nemmeno è stata assunta dal Cda nessuna delibera in tal senso. 

Bialetti, un’icona italiana dal 1919 presto nelle mani di Hong Kong

Bialetti quindi sarebbe pronta a cedere una partecipazione di maggioranza in mani cinesi, uscendo dai listini della Borsa. L’operazione porterebbe l’azienda simbolo del made in Italy, fondata a Omegna, in provincia di Verbania, da Alfonso Bialetti nel 1919, nelle mani di Stephen Cheng, che siede nel consiglio di amministrazione di Nuo Capital assieme alla moglie Helen Wang. I due gestiscono insieme il family office che diversifica gli investimenti del gruppo, The World Wide Investment Co., con sede a Hong Kong. Ma è sulla Nuo Capital, la divisione italiana della holding, che concentrano i loro sforzi principali. Ed è proprio  qui che Stephen Cheng riesce a conciliare gli investimenti con la sua passione per l’arte.

La moda italiana torna a casa: più vendite, meno produzioni in Cina

Il suo nome potrebbe essere poco noto in Italia, ma il magnate di Hong Kong da anni rappresenta il punto di unione e scambio tra realtà italiane e l’Asia. Nato a New York ma di origini cinesi, è uno degli eredi di una delle più grandi famiglie imprenditoriali asiatiche. A 38 anni, si è fatto conoscere per la sua filosofia di investimento focalizzata sull’eccellenza italiana, lontana dalle ostentazioni del lusso. Nonostante la sua famiglia sia legata al mondo degli affari, Cheng ha scelto un percorso diverso, meno orientato al profitto immediato e più attento alla cultura e all’arte. Il rampollo della famiglia Cheng si è infatti laureato in storia del cinema e fotografia ad Harvard e ha avviato la prima e più importante galleria di arte visiva sperimentale a Hong Kong. Ma dovendosi occupare degli affari di famiglia, Cheng ha adottato un approccio d’investimento a lungo termine, mirando a fare da ponte tra le eccellenze italiane e il mercato asiatico. Il fil rouge con il design italiano si lega inevitabilmente all’amore per l’arte del patron di Nuo Capital.

La visione imprenditoriale della Nuo Capital si spiega guardando i cambiamenti culturali in corso in Cina, dove la nuova generazione sta abbandonando il consumismo sfrenato in favore di un gusto più sobrio e sostenibile. E questo approccio molto attento alle evoluzioni sociali viene espresso anche dall’acronimo che dà il nome alla società di base a Hong Kong: Nuo, infatti, sta per “New Understanding Opportunities”, le nuove opportunità che hanno un valore di promessa per la società odierna e le imprese che la vivono. La strategia dell’azienda si basa infatti su tre principi fondamentali: ingresso nel capitale di un’azienda come socio di minoranza, investimenti a lungo termine e orientamento delle eccellenze italiane della “old economy” verso il mercato asiatico. Grazie alla sua solida rete di rapporti in Asia, la holding punta a promuovere e sostenere nei mercati asiatici l’impresa italiana, riconoscendone il valore della qualità e dell’artigianato tradizionale. Se l’accordo si concretizzerà, Bialetti, simbolo del design italiano, potrebbe trovare nuova linfa in Asia. Ma il suo legame con il made in Italy rimarrà intatto? La risposta, forse, dipenderà dalla capacità di Nuo Capital di coniugare la tradizione italiana con l’innovazione dalle caratteristiche asiatiche.

Fonte : Today