Wall Street trema, ancora una volta. In appena quarantotto ore, i mercati finanziari americani hanno bruciato cinquemila miliardi di dollari a causa dei dazi imposti dal presidente Trump, i più alti dell’ultimo secolo. L’indice S&P 500, ovvero il termometro che misura l’andamento delle 500 maggiori aziende americane quotate in borsa, ha registrato un crollo del 6% venerdì 4 aprile, mentre il Nasdaq (l’indice delle società tecnologiche) è entrato in quella che gli esperti chiamano “bear market“, con perdite superiori al 20%. La risposta cinese, con tariffe del 34% sui prodotti americani, ha aggravato le preoccupazioni per una possibile recessione globale. Non è la prima volta che la finanza americana subisce traumi di questa portata: la storia di Wall Street è infatti costellata di crolli spettacolari che hanno ridefinito non solo i mercati, ma intere epoche economiche.
Il Grande crollo di Wall Street del 1929
Tutto ebbe inizio quasi un secolo fa. Il 1929 rappresenta lo spartiacque che cambiò per sempre il capitalismo moderno. Il “Giovedì Nero” e il “Martedì Nero” di ottobre fecero crollare il Dow Jones, ovvero il più antico e prestigioso indice di borsa che monitora l’andamento di 30 grandi società industriali americane, di oltre il 23% in due giorni, inaugurando la Grande Depressione. Anni di speculazione sfrenata, prestiti facili e assenza di regolamentazione avevano creato una bolla destinata a scoppiare. Come oggi, anche allora le autorità si trovarono impreparate, ma con una differenza fondamentale: la Federal Reserve (la banca centrale americana) non intervenne tempestivamente. La borsa finì per perdere l’89% del suo valore, un quarto degli americani perse il lavoro e l’economia si contrasse di un terzo. Quella lezione, tanto dolorosa quanto necessaria, portò alle prime regole per i mercati finanziari e all’idea che lo Stato potesse intervenire nell’economia, principi che avrebbero influenzato la gestione delle crisi future.
Il Lunedì nero del 1987
Dovettero passare quasi sessant’anni prima che Wall Street affrontasse un’altra giornata così nera. Il 19 ottobre 1987 sembrò riaprire gli incubi della Grande Depressione, con il Dow Jones che perse il 22,6% in un solo giorno, la peggior caduta percentuale della sua storia. Ma questa volta a scatenare il panico non furono solo gli squilibri economici, bensì la tecnologia: i programmi informatici di trading automatico, ironicamente creati per proteggere gli investitori, amplificarono il crollo in un circolo vizioso di vendite. La risposta delle autorità dimostrò che la lezione del ’29 era stata appresa: la Federal Reserve, guidata allora da Alan Greenspan, intervenne rapidamente immettendo liquidità nel sistema bancario. Questa strategia, che sarebbe diventata la norma nelle crisi successive, permise ai mercati di riprendersi in tempi relativamente brevi, evitando il contagio all’economia reale.
La bolla delle dot-com del 2000
La rapida ripresa dopo il 1987 alimentò un nuovo periodo di euforia, culminato alla fine degli anni novanta. Il boom di internet generò una vera e propria febbre speculativa attorno alle nuove aziende tecnologiche (le cosiddette “dot-com”, dal suffisso .com dei loro siti web). Gli investitori, abbagliati dalle potenzialità della rete, riversarono miliardi di dollari su startup spesso prive di modelli di business sostenibili, seguendo il mantra “crescita a ogni costo, i profitti verranno dopo”. Il Nasdaq, l’indice tecnologico, quintuplicò il suo valore in soli cinque anni, raggiungendo il picco il 10 marzo 2000. Poi la bolla scoppiò, rivelando quanto fossero fragili quei castelli di carta: entro ottobre 2002, il Nasdaq aveva perso il 78% del suo valore e centinaia di aziende internet fallirono. A differenza delle altre crisi, questa si sviluppò più lentamente, con un declino durato circa due anni. La Federal reserve, guidata ancora da Greenspan, tagliò i tassi d’interesse per attutire il colpo all’economia, contribuendo però involontariamente a creare le condizioni per la successiva e più devastante crisi immobiliare.
La crisi dei mutui subprime del 2008
Mentre la bolla tecnologica si sgonfiava, i capitali cercavano nuovi terreni fertili, trovandoli nel mercato immobiliare. La crisi del 2008 rappresenta il più grave collasso finanziario dai tempi della Grande Depressione, con effetti devastanti sull’economia globale. Tutto iniziò con un’idea apparentemente brillante: concedere mutui anche a chi aveva una storia creditizia problematica (i cosiddetti “subprime”), scommettendo sul continuo aumento del valore delle case. Questi prestiti rischiosi vennero poi “impacchettati” dalle banche in strumenti finanziari complessi e venduti agli investitori di tutto il mondo, spesso con il massimo rating di affidabilità. Quando i prezzi delle abitazioni americane iniziarono a scendere nel 2006 e sempre più famiglie non riuscirono a pagare le rate, l’intero sistema finanziario vacillò. Il 15 settembre 2008, il fallimento della banca d’investimento Lehman Brothers fece precipitare la situazione: in poche settimane i mercati azionari persero oltre il 40% del loro valore, cancellando 8 trilioni di dollari di ricchezza. A differenza delle crisi precedenti, questa volta il contagio all’economia reale fu immediato e globale: banche fallite, credito congelato, disoccupazione raddoppiata e una contrazione economica che colpì tutto il mondo. Le autorità dovettero intervenire con misure mai viste prima: salvataggi bancari per centinaia di miliardi, tassi d’interesse azzerati e massicce iniezioni di liquidità nei mercati. Nonostante questi sforzi, la ripresa fu lenta e dolorosa, lasciando cicatrici sociali ed economiche profonde che hanno alimentato populismi e disuguaglianze in tutto l’Occidente.
Il panic selling pandemico del 2020
L’arrivo della pandemia ha messo alla prova tutte le lezioni imparate nelle crisi precedenti. A marzo 2020, i mercati finanziari registrarono il tracollo più veloce della storia: in appena 16 giorni, gli indici persero oltre il 20%. Ma a differenza delle crisi del passato, innescate da squilibri interni al sistema finanziario, questa volta il crollo fu causato da un evento esterno e improvviso: il Covid19. Le misure di contenimento adottate per fermare il virus bloccarono di colpo interi settori dell’economia globale. Tuttavia, applicando gli insegnamenti delle crisi passate, ma su scala ancora maggiore, le autorità americane reagirono con interventi massicci e immediati: la Federal Reserve tagliò i tassi a zero e il governo stanziò aiuti per 5 trilioni di dollari. Il risultato fu sorprendente: mentre 22 milioni di americani perdevano il lavoro e l’economia subiva la contrazione più grave dalla Grande depressione, i mercati finanziari si ripresero in tempi record, tornando ai livelli pre-crisi già nell’estate 2020.
Fonte : Wired