Diversità, equità e inclusione, la battaglia delle aziende europee per resistere ai diktat di Trump

L’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump ha avviato una campagna senza precedenti contro le politiche di diversità, equità e inclusione (l’acronimo è Dei, che sta per diversity, equity and inclusion). L’attacco ha da pochi giorni varcato l’Atlantico, colpendo direttamente le aziende europee. Secondo quanto rivelato dal quotidiano francese Les Echos e confermato dal britannico Financial Times, l’ambasciata americana a Parigi avrebbe inviato lettere a diverse grandi imprese europee, intimando loro di conformarsi all’ordine esecutivo firmato da Trump che vieta specificamente i programmi Dei. La richiesta sarebbe chiara: le aziende che forniscono prodotti o servizi al governo statunitense devono attestare la loro conformità al nuovo corso attraverso un questionario dettagliato, anche se hanno sede in Europa. Una mossa che ha scatenato l’immediata reazione delle autorità continentali, con il ministero francese del Commercio estero che ha definito questa iniziativa “un’ingerenza americana inaccettabile“.

Diversità, equità e inclusione, l’offensiva di Trump contro il “woke

Il contenuto delle lettere rappresenta un’estensione internazionale della crociata trumpiana contro quella che il presidente americano definisce “cultura woke“. L’ordine esecutivo, già operativo negli Stati Uniti, considera le politiche Dei “illegali” e “immorali”, sostenendo che promuovono discriminazioni basate su razza e genere. Per le aziende europee il dilemma è complesso: adeguarsi alle richieste americane significa entrare in potenziale conflitto con il quadro normativo europeo, dove molte politiche di inclusione sono non solo incoraggiate ma spesso obbligatorie. Il Financial Times ha evidenziato come nessuna delle aziende destinatarie delle lettere abbia finora accettato di commentare pubblicamente la questione, temendo ripercussioni commerciali. E lo stesso Les Echos, che definisce la mossa di Trump “il ritorno del Maccartismo”, non ha riportato alcun nominativo di azienda.

La domanda che ci si può porre è semplice: com’è possibile che un uomo con idee così profondamente anti-democratiche dal punto di vista sociale (contro le politiche di diversità, equità e’inclusione) riesca a imporle non solo negli Usa ma addirittura al di qua dell’Atlantico? È davvero tutto frutto dell’arbitrio di un uomo solo? No, non è così. “Ci sono delle scelte che l’amministrazione Trump ha messo in campo che denotano un quadro coerente, che è lo smantellamento di una cultura e orientamento che possiamo chiamare cultura woke o delle pari opportunità“, spiega Andrea Locatelli, docente di Scienza politica e Studi strategici all’Università Cattolica di Milano. “Non penso che questo avvenga per via di una idiosincrasia di Trump, anche se l’uomo ha una visione misogina e suprematista delle relazioni sociali. Tuttavia, penso che dipenda in parte da un’ideologia che gli fa comodo, cioè condivisa da una certa base elettorale“. È, insomma, frutto di un calcolo politico ben preciso per aumentare il consenso.

Reazioni e strategie aziendali

Premettendo che le aziende non si sono sbottonate al riguardo, rendendo difficile identificare i destinatari, c’è qualche indicatore per capire cosa sta succedendo anche da noi. In Italia la situazione appare ancora fluida, con le aziende che sembrano adottare un approccio attendista. “Dal mio osservatorio, basato sullo strumento della certificazione della parità di genere, posso dire che non abbiamo registrato ripensamenti rispetto alle decisioni assunte“, dice a Wired Arianna Visentini, presidente e ad di Variazioni, socieà di consulenza strategica in ambito sostenibilità e benessere delle persone attiva dal 2009. “Le aziende all’inizio mi dicevano: ‘Dobbiamo attendere se la casa madre assumerà delle posizioni diverse rispetto a queste scelte’, poi non è avvenuto, quindi adesso sono molto più serene“, aggiunge Visentini, sottolineando come molte multinazionali stiano temporeggiando prima di adottare posizioni definitive.

La questione si fa particolarmente delicata per le imprese che operano su entrambe le sponde dell’Atlantico e che potrebbero trovarsi strette tra normative contrastanti. Un indicatore ulteriore che la mossa di Trump in realtà è completamente rivolta al suo pubblico elettorale di riferimento, come ha notato Locatelli, viene dal fatto che in Europa, in realtà, dal punto di vista giuridico oltre che culturale le cose stanno in modo molto diverso. Nel Vecchio continente, infatti, non esistono politiche di discriminazione positiva a causa di restrizioni legali sulla raccolta di dati razziali ed etnici o esistono con basi giuridiche sostanzialmente diverse da quelle statunitensi, rendendo il quadro normativo molto differente da quello statunitense. Questa divergenza crea un ulteriore livello di complessità per le aziende, che devono navigare tra sistemi legali e culturali differenti, con il rischio concreto di sanzioni commerciali in caso di mancata conformità.

Valore economico oltre l’etica

Ciò che emerge chiaramente è che le politiche Dei non rappresentano solo una questione etica, ma anche un elemento strategico per la competitività aziendale. “Fare Dei è giusto, c’è un tema etico morale, ma c’è anche un tema strumentale legato a efficienza e produttività“, sottolinea Visentini. “Oggi, in un mercato così flessibile con un forte turn-over e la difficoltà di attrarre le persone valide e convincerle a restare in azienda, le cose sono ulteriormente complesse. Non c’è personale e chi cerca lavoro ha una forza contrattuale che non aveva mai avuto prima. Le aziende quindi devono fare ogni sforzo possibile per attrarre persone ed essere produttive: le politiche Dei funzionano anche da questo punto di vista. Anche quando sono implementate in modo strumentale, portano comunque a un miglioramento di efficienza“.

Fonte : Wired