Il suicidio assistito è un diritto in Italia? Il dibattito tiene banco da anni. Era conosciuto come Mario, nome di fantasia e di battaglia: Federico Carboni, marchigiano, 44 anni, rimasto paralizzato all’età di 12 anni a causa di un incidente stradale. È stato lui il primo italiano ad avere chiesto, e ottenuto, l’accesso al suicidio medicalmente assistito. Era il 2022, tre anni dopo una lotta faticosamente vinta, con la sentenza storica della Corte costituzionale 242 del 2019 che ha reso legale, per la prima volta in Italia, il diritto di morire.
Oggi, una legge nazionale che regoli il fine vita ancora non c’è, e quella sentenza, che ha depenalizzato l’aiuto al suicidio in casi specifici, rimane l’unica norma alla quale appellarsi. Prevede che la persona malata che sceglie di percorrere la strada debba avere precisi requisiti, ovvero capacità di autodeterminarsi, una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili e che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale. Prerogative che devono essere verificate caso per caso, insieme alla modalità per procedere, dal Servizio sanitario nazionale “previo parere del comitato etico territorialmente competente”.
Nel 2024 la Corte costituzionale ha poi emesso un’altra importante sentenza chiarendo e ampliando l’interpretazione di “trattamento di sostegno vitale” e ribadendo la necessità immediata di una legge nazionale, con la richiesta al parlamento di attuare concretamente i principi fissati dalla sentenza del 2019. La questione legale nasceva da un procedimento penale contro tre persone dell’associazione Luca Coscioni accusate di aver aiutato un paziente ad ottenere il suicidio assistito in Svizzera.
L’importanza di una legge nazionale
E in mancanza di una legge, non è facile nemmeno mettere insieme tutti i pezzi, capire quale sia la reale situazione in Italia, quante richieste di fine vita arrivino, quante vengano respinte, che cosa accada nelle battaglie di ciascuno, ancora lunghe e tortuose, senza procedure né tempi certi. Per questo l’associazione Luca Coscioni, da sempre attiva sul tema, ha presentato 21 richieste ad altrettante regioni italiane per ottenere dati chiari e precisi sulle domande di suicidio assistito che siano arrivate alle aziende sanitarie dal 2020 ad oggi. Da quanto finora ricevuto, fa sapere l’associazione, si contano 51 richieste in diverse regioni, con esiti molto differenti tra approvazioni, dinieghi e procedure in corso. “Tuttavia – denuncia – risulta evidente come troppi enti abbiano scelto di non rispondere o di negare l’accesso ai dati, così come risulta evidente che le tempistiche di risposta delle Asl siano incompatibili con le speranze di vita dei richiedenti“.
Solo undici regioni (Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Piemonte, Marche, Abruzzo, Bolzano, Sicilia, Calabria e Campania) hanno infatti risposto alla richiesta con dati precisi. Da quanto ottenuto, anche così le domande di fine vita da parte dei cittadini sono state tante: 15 in Veneto, 14 in Lombardia, 7 nelle Marche, 6 in Liguria.
Fonte : Wired