Un trial clinico del 2021, in effetti, suggeriva che l’utilizzo del gas esilarante a basse dosi, inferiori a quelle che provocano gli effetti euforizzanti a cui deve il suo nome, può indurre un miglioramento dei sintomi della depressione maggiore in pazienti resistenti alle terapie di prima linea, in una singola sessione di inalazione, e con effetti che durano fino a due settimane. Come ci riuscisse, però, non era chiaro.
Uno dei vantaggi di questa sostanza è la sua emivita particolarmente breve – appena cinque minuti – che fa sì che venga espulso velocemente dall’organismo. Rendendolo perfetta per anestesie rapide e di facile gestione. Per lo stesso motivo, però, la sua efficacia a lungo termine nel trattamento della depressione, suggerita da diverse ricerche negli ultimi anni, risultava in qualche modo misteriosa: come fa un farmaco che sparisce dall’organismo nell’arco di pochi minuti a migliorare il nostro umore per giorni o settimane?
Vecchi farmaci, nuovi misteri
“Il perossido di azoto è il più antico anestetico che abbiamo a disposizione, è stato utilizzato per oltre 180 anni, costa circa 20 dollari a bombola, e stiamo ancora scoprendo nuove cose sul suo potenziale”, spiega Joseph Cichon, anestesista dell’Università della Pennsylvania che ha partecipato alla nuova ricerca. “Mi sono sentito un po’ come Indiana Jones, in viaggio nel passato per risolvere il mistero di un antico farmaco”.
La teoria più diffusa sui meccanismi di azione antidepressiva degli antidolorifici come ketamina e perossido di azoto puntava alla capacità delle due sostanze di bloccare un recettore cerebrale noto come recettore Nmda, il cui funzionamento è coinvolto nella memoria e nell’apprendimento. Era difficile però immaginare che questo meccanismo d’azione fosse compatibile con gli effetti del gas esilarante, vista la sua brevissima emivita. Per questo motivo, gli autori del nuovo studio hanno deciso di indagare più a fondo cosa accade nel cervello quando si viene esposti al gas.
La ricerca
Per farlo hanno utilizzato alcuni topi, di cui hanno osservato nel dettaglio l’attività cerebrale con una tecnica nota come advanced calcium imaging, che sfrutta sonde fluorescenti per misurare la concentrazione di calcio all’interno dei neuroni, e monitorarne così l’attività in tempo reale. I topi in stato di stress cronico (un modello animale validato per lo studio della depressione) sono stati esposti al gas, e studiandone l’attività cerebrale è spuntata una possibile spiegazione: l’attività anomala di un gruppo di neuroni posizionati nel cosiddetto strato piramidale interno della corteccia cingolata, una regione del cervello associata alla regolazione delle emozioni e dell’umore.
Fonte : Wired