Più occupati ma meno pagati (e il governo esulta)

Il governo esulta, e in parte a ragione. Non capita tutti i giorni che l’Istat consegni al Paese dati sull’occupazione tanto confortanti – in alcuni casi addirittura trionfali – ed è quindi naturale che la ministra del Lavoro, Marina Calderone, dichiari che “è stata premiata la nostra azione”. Chiunque al suo posto avrebbe fatto lo stesso.

Detto ciò, va ricordato che quando si parla di dinamiche occupazionali i trend sono raramente riconducibili a singoli provvedimenti: si tratta piuttosto di tendenze in corso da tempo, spesso meno visibili ma strutturali. Il dato, però, resta: la quota degli occupati ha raggiunto il record di 24,3 milioni (+567mila unità in un anno), con un corrispondente calo della disoccupazione al 5,9%, il valore più basso dal 2007. Questo risultato è stato trainato soprattutto dall’aumento degli occupati over 50.

Le nuove assunzioni? Sono di “over 50”

Tuttavia, c’è un aspetto su cui il governo tace: i giovani. È vero che tra i più giovani – nella fascia 15-24 anni – la disoccupazione cala e raggiunge un minimo storico del 16,9%, ma il quadro cambia salendo anche solo di un decennio. Nella fascia 25-34 anni, infatti, gli occupati diminuiscono e aumentano gli inattivi: persone che non lavorano e non cercano lavoro, probabilmente scoraggiate da stipendi bassi o da offerte lavorative poco soddisfacenti.

In sintesi: il quadro appare positivo se si guarda ai grandi aggregati, specialmente alle fasce più mature (dove incide anche l’invecchiamento della popolazione). È positivo anche per i giovanissimi alla prima esperienza, che spesso accettano offerte al ribasso pur di entrare nel mercato. Ma non lo è per i giovani adulti, che iniziano a cercare lavori in linea con le proprie competenze e aspettative.

Il lavoro c’è, ma non soddisfa

Ed è qui che il discorso si intreccia con l’altro grande tema delle ultime settimane: i salari. Secondo l’Ocse, lo stipendio medio lordo annuo in Italia nel 2024 è stato di 31.700 euro, ben al di sotto dei 33.536 euro del 2010, a parità di potere d’acquisto. In 15 anni i lavoratori italiani hanno perso 1.800 euro di reddito medio annuo. Una mazzata silenziosa e continua, che non può essere imputata a un singolo governo, ma che certo dovrebbe smorzare i toni trionfali dell’attuale esecutivo. Ed è anche un chiaro segnale per indicare la direzione che dovrebbero prendere sia il governo sia i sindacati.

Dire che le rappresentanze dei lavoratori dovrebbero occuparsi di più degli stipendi non è una banalità. Negli ultimi anni abbiamo assistito a più manifestazioni sindacali su pace, guerra e giustizia che su aumenti salariali, che pur dovrebbero essere la loro battaglia principale. Forse, di fronte all’evidenza ormai esplosiva della questione salariale, qualcosa cambierà. Finalmente.

Fonte : Today