L’Italia chiede a Meta, X e LinkedIn di pagare l’Iva. Ci saranno ritorsioni da parte di Trump?

The song remains the same —la canzone è sempre quella: i servizi di Big Tech si possono pagare in dati personali? Se si, devono pagare le tasse sul loro valore?

Il titolo del pezzo dei Led Zeppelin è la migliore descrizione di quello che sta accadendo nella guerra a bassa intensità fra il fisco italiano e la Procura di Milano da un lato, e Big Tech dall’altro. E la risposta alle domande è nel verso di un’altra canzone, questa volta di Bob Dylan, the answer, my friend, is blowin’ in the wind —la risposta, amico mio, aleggia nel vento; perché nonostante il tempo trascorso nessuno, né il legislatore né le autorità indipendenti e l’Agenzia delle entrate hanno mai voluto mettere un punto fermo sul tema giuridico che sta alla base di queste vicende.

Il problema è il modello industriale basato sul “gratis”

Sotto eterna accusa è il modello industriale basato sullo schema “dati in cambio del servizio”, che non solo, oggi, secondo il fisco ma da oltre venticinque anni secondo l’antitrust e il garante dei dati personali, non consente di definire “gratuita” —cioè senza contropartita— l’opzione di pagare in dati al posto di moneta sonante.

In modo conveniente per tutte le parti, fino ad ora i procedimenti avviati contro Big Tech si sono chiusi con degli accordi che hanno consentito alle piattaforme coinvolte di risparmiare tempo e soldi, e al fisco e alla Procura di Milano di evitare il rischio che una sentenza desse loro torto, facendo crollare le fondamenta giuridiche non esattamente saldissime sulle quali hanno costruito l’impalcatura giuridica che sostiene le loro accuse. Non è infatti così graniticamente certo, anche volendo considerare i dati come un oggetto che ha valore economico, che le tasse debbano essere pagate in Italia e non in USA.

Ritorna la questione webtax

Siamo di fronte, in altri termini, al tema ricorrente della “web tax” e alla sua applicazione di fatto —perché di diritto, senza una legge o qualche sentenza, imporla non si può.

Questa soluzione interlocutoria, tuttavia, crea più problemi di quanti ne risolve. Per esempio, senza ripetere nel dettaglio quello che già è stato scritto sulle pagine di Italian Tech sulla disparità di trattamento a danno di Big Tech se la tesi dell’accusa venisse confermata, allora per coerenza dovrebbero essere aperte decine di migliaia di procedimenti analoghi nei confronti di tutti quelli che hanno impostato i propri modelli commerciali sulla patrimonializzazione del dato personale fidandosi della narrativa costruita sul “virtuale” e sul “digitale”.

Rischio ritorsioni: siamo arrivati al punto di rottura?

Analogamente, fino a quando la corda del “tira e molla” fra USA e Italia/UE sul tema della tassazione diretta e su quella mediata dagli accertamenti fiscali regge, tutto va bene. Ma,come già è stato evidenziato in altre occasioni sempre su Italian Tech, “se dovesse cedere, cederebbe di schianto provocando, per esempio, l’attivazione di un meccanismo di reciprocità in base al quale se la UE può sanzionare un’azienda USA, allora gli Stati Uniti possono rivendicare il diritto di fare lo stesso nei confronti di qualsiasi azienda basata in uno dei Paesi dell’Unione, attaccando così l’economia nazionale e non quella dell’UE (che non esiste); oppure, vista la minaccia per un comparto fondamentale dell’economia USA, l’adozione di misure ancora più restrittive.”

Quelle che all’epoca apparivano soltanto ipotesi possibili ma non necessariamente probabili, oggi sono diventate all’improvviso estremamente concrete, considerata la natura palesemente punitiva dei dazi annunciati dagli USA nell’ambito delle relazioni con la UE. A riprova, anche il lancio stampa di Reuters citato in apertura rileva che “la questione è probabilmente sensibile, date le tensioni commerciali fra la UE l’amministrazione del Presidente USA Donald Trump”.

Quali sono le strategie di Bruxelles?

È abbastanza chiaro, dunque, che le sanzioni fiscali a Big Tech non sono più soltanto un nodo da sciogliere nell’intricatissima tela del diritto tributario italiano ma rappresentano anche un ring sul quale è la UE a dover salire per affrontare gli USA. E, per mantenere la metafora del combattimento di pugilato, visto che le fasi preliminari sono già concluse e i contendenti sono al centro del quadrato in attesa del gong, bisogna capire se il cornerman della Commissione ha in mente una strategia che quantomeno le consenta di finire in piedi l’incontro, o se sta mandando a combattere il proprio pugile senza avergli dato almeno le indicazioni minime —testa bassa, mani alzate— esponendolo al rischio di un immediato, rapido ma soprattutto brutale knock-out.

Fonte : Repubblica