Riesce a scovare le proteine dannose per il cervello che portano allo sviluppo di malattie neurodegenerative. È questa l’abilità del catGRANULE 2.0 ROBOT, un nuovo algoritmo di machine learning appena messo a punto nell’ambito del progetto europeo IVBM-4PAP, coordinato dall’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit). Descritto in uno studio pubblicato sulla rivista Genome Biology, il nuovo algoritmo studia il comportamento delle proteine all’interno delle cellule, riuscendo a prevedere quelle che hanno il potenziale per scatenare le malattie neurodegenerative, come la sclerosi laterale amiotrofica (Sla), il Parkinson e l’Alzheimer. Motivo per cui rappresenta uno strumento prezioso per aiutarci a identificare target molecolari per terapie mirate.
Le malattie neurodegenerative
Solamente in Italia sono circa un milione le persone affette dalle malattie neurodegenerative, patologie caratterizzate da strutture proteiche simili a gomitoli (condensati biomolecolari), come per esempio i corpi di Lewy del Parkinson, gli accumuli di filamenti nel motoneurone della Sla e le placche amiloidi dell’Alzheimer. Sappiamo, infatti, che la capacità delle proteine di formare gomitoli, in condizioni di buona salute, contribuisce a gestire la produzione di altre proteine e a rispondere a situazioni di stress cellulare. Ma quando questo meccanismo subisce un’alterazione, questa porta allo sviluppo della malattia, dove i gomitoli proteici si trasformano in strutture solide che si accumulano (aggregati di materia solida) nelle cellule e le portano alla morte.
L’algoritmo
Il nuovo algoritmo catGRANULE 2.0 ROBOT (acronimo di Ribonucleoprotein Organization in Biocondensates Organelle Types) è in grado di comprendere il legame tra le mutazioni presenti nelle proteine e la formazione dei condensati, riuscendo a rintracciare le proteine potenzialmente dannose. “L’individuazione di caratteristiche biochimiche correlate alle malattie neurodegenerative è cruciale per intervenire precocemente e rallentare il decadimento cognitivo”, ha spiegato Gian Gaetano Tartaglia, che ha coordinato lo studio. “Abbiamo addestrato il nostro sistema per riconoscere la formazione di condensati, che in molti casi è un passo iniziale per la formazione di aggregati tossici. Un contributo fondamentale a questo evento viene dall’interazione proteina-rna”.
L’interazione rna-proteina
Dato che la formazione dei gomitoli è regolata anche dall’rna, che interagisce con le proteine facilitando o inibendo il meccanismo chimico-fisico che, appunto, porta alla formazione dei condensati biomolecolari (separazione di fase liquido-liquido) i ricercatori si sono focalizzati sulla cosiddetta interazione rna-proteina, istruendo il nuovo algoritmo affinché usi questo parametro come indicatore per determinare se un condensato biomolecolare abbia il potenziale per diventare tossico. Mentre l’algoritmo analizza la struttura di una proteina, considerando la sua affinità per l’rna, i ricercatori possono determinare la propensione a subire la separazione di fase e a creare condensati. Il metodo ROBOT, spiegano i ricercatori, permette quindi di studiare l’influenza delle mutazioni sulla separazione liquido-liquido: se queste alterano l’interazione proteina-rna, è probabile che condizionino anche la formazione dei condensati, portando a conseguenze patologiche.
Nuove strategie
L’algoritmo catGRANULE 2.0 ROBOT rientra nel progetto internazionale IVBM-4PAP, che ha lo scopo di sviluppare il microscopio chiamato In-Vivo Brillouin Microscope (IVBM), uno strumento che servirà a misurare le proprietà delle proteine e dei condensati all’interno delle cellule viventi, senza interventi esterni. L’integrazione tra il lavoro computazionale dell’algoritmo e le attività sperimentali del microscopio ha il potenziale per identificare precocemente i segnali patologici e sviluppare nuove strategie terapeutiche che rallentino la progressione di malattie neurodegenerative, riducendone così gli impatti a lungo termine.
Fonte : Wired