Non sono solo le città ma anche le aree rurali più abbandonate a soffrire. Ci sarebbero quasi 300 morti e 3mila case crollate nella regione che prima dello scoppio della guerra nel 2021 era una nota meta turistica. La popolazione locale si stava ancora riprendendo dalle conseguenze del tifone Yagi di settembre. Mentre le principali milizie etniche aderiscono alla proposta di cessate il fuoco, molti temono che la giunta militare blocchi l’invio di aiuti.
Yangon (AsiaNews) – Nei 19 villaggi birmani che circondano il lago Inle, nello Stato Shan, sono crollate almeno 2.790 case e quasi 100 morti sono state finora accertate, in seguito al terremoto di magnitudo 7.7 che il 28 marzo ha colpito il Myanmar. “Ora stiamo soggiornando in monasteri, scuole e capanne di fortuna su isole galleggianti”, ha detto un residente locale a Democratic Voice of Burma, aggiungendo che le connessioni telefoniche non sono ancora state ristabilite e manca l’acqua potabile. La popolazione locale sta sopravvivendo grazie al cibo offerto dalle persone nei villaggi vicini che hanno subito solo in minima parte gli effetti del sisma.
Al di fuori delle città di Sagaing, Mandalay e Naypyidaw, il lago Inle è una delle aree rurali che ha subito il maggior numero di danni e verso cui gli aiuti faranno fatica a fluire. Prima dello scoppio della guerra civile nel 2021, il lago, a meno di 40 chilometri a sud della città di Taunggyi, era una nota meta turistica, sulle cui sponde sorgono centinaia di case in palafitte. La zona – a luglio riconquistata dalle Forze di difesa del popolo (PDF), le milizie che compongono la resistenza -, è abitata dalla popolazione Intha, il cui sostentamento dipende dalle acque del lago, dove pescano con nasse coniche manovrando le proprie canoe tramite un remo stretto intorno alla gamba.
Negli ultimi anni il lago è stato colpito da diversi disastri naturali. Dopo un periodo di siccità, a settembre dello scorso anno le piogge portate dal tifone Yagi avevano sommerso le capanne: “Dovevamo ancora riprenderci dalle inondazioni che è arrivato il terremoto”, ha commentato un operatore umanitario. Almeno otto persone erano morte nelle alluvioni e 6mila erano sfollate, mentre la biosfera del lago, che è una riserva tutelata dall’Unesco, era stata alterata, generando una crisi ecologica.
La giunta militare ha riferito che in tutto il Myanmar il bilancio dei morti ha superato le 2mila persone, mentre i feriti sarebbero quasi 4mila, ma si tratta di numeri impossibili da accertare, a causa del blocco imposto ai media stranieri, mentre i giornalisti locali erano già stati costretti alla fuga in seguito al colpo di Stato militare del 2021 che ha poi aperto la porta al conflitto civile. Le previsioni dello US Geological Survey affermano che i morti sarebbero almeno 10mila. A Sagaing, nei pressi dell’epicentro, secondo i residenti è andato distrutto l’80% della città. A Naypyidaw pare siano crollati 10mila edifici. I pochissimi giornalisti birmani che riescono a reperire informazioni dall’interno del Paese riferiscono episodi agghiaccianti: “Una residente di Mandalay racconta che i soldati del regime hanno sequestrato tutte le ruspe dal suo quartiere sotto la minaccia delle armi, senza lasciare alcuna attrezzatura per salvare i bambini intrappolati sotto le macerie”, ha scritto sui propri social Yan Naing Aung.
Le uniche realtà attive nel portare aiuti alla popolazione sembrano essere le piccole realtà locali: ong e organizzazioni della società civile che operavano in Myanmar anche durante la guerra civile e che continuano a denunciare il fatto che gli aiuti umanitari inviati tramite i canali della giunta militare non stanno arrivando a destinazione. Non è una novità: già in occasione del tifone Yagi, ma anche a giugno 2023 dopo il passaggio del ciclone Mocha, che aveva devastato lo Stato occidentale del Rakhine, gli aiuti erano stati bloccati nel tentativo di ricattare la popolazione e ottenere vantaggi nello scontro con le milizie etniche che hanno riconquistato nell’ultimo anno diversi territori, soprattutto lungo le aree di frontiera con gli altri Paesi, mentre i militari mantengono il potere in alcune grandi città nelle aree centrali del Myanmar.
Nonostante il terremoto sia avvenuto venerdì, solo ieri alcune squadre di soccorso provenienti dalla Malaysia sono entrate nella regione del Sagaing, un territorio ancora conteso tra l’esercito e le forze ribelli. Nell’ultimo anno quest’area, insieme alla vicina regione di Mandalay, è stata oggetto di bombardamenti, che sono continuati anche nelle ore successive al terremoto. Oggi, le tre milizie etniche che a fine 2023 avevano lanciato un’offensiva chiamata “Operazione 1027” hanno aderito al cessate il fuoco proposto dal Governo di unità nazionale in esilio per favorire le operazioni di soccorso.
Per rispondere all’emergenza umanitaria, la Fondazione Pime ha deciso di lanciare una raccolta fondi per il Myanmar, contando su partner locali affidabili. Gli aiuti serviranno a sostenere la rete di accoglienza delle diocesi e a portare aiuti a coloro colpiti dal terremoto.
Si può donare con causale “S001 Emergenze – Terremoto in Myanmar e Thailandia”:
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Fonte : Asia