Inoltre, i nuovi mmg – i giovani che entreranno in servizio, cioè – dovranno prestare servizio non solo nei propri studi, ma anche, con turni, nelle Case di comunità: l’intenzione è quella di garantire ai pazienti una copertura sanitaria con orari prolungati, dalle 8:00 alle 20:00. Ma se molti medici di medicina generale di oggi, sono i dati a dirlo, a stento riescono a garantire assistenza ai propri pazienti, come riusciranno i nuovi assunti a gestire anche l’attività nelle Case di comunità?
La risposta del governo, declinata in questo modo, potrebbe nascere dall’esigenza di riempire quelle “cattedrali nel deserto” che, ad oggi, sono le Case di Comunità: luoghi che, sulla carta, dovrebbero offrire al cittadino risposte rapide e accessibili ai bisogni di salute, ma che, nella realtà, mancano di professionisti in numero sufficiente per renderle davvero operative.
Il risultato? Disaffezione da parte dei giovani medici, che preferiscono tentare l’accesso alle specialità ospedaliere, che hanno il vantaggio di offrire un quadro caratterizzato da maggiori certezze.
La questione dei contributi
Non è l’unico nodo da sciogliere. Con la riforma (per come è trapelata fino a oggi), i nuovi mmg saranno assunti come dipendenti del Sistema sanitario nazionale e dovranno – quindi – versare i contributi previdenziali all’Inps, invece di pagarli all’Enpam (Ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici). L’Enpam – guarda caso – è uno dei principali oppositori della riforma: se passasse in questa forma, le casse dell’ente verrebbero a svuotarsi, mandando all’aria la programmazione e quindi le pensioni degli iscritti. Anche questo aspetto, quello della sosteniblità pensionistica, deve pertanto essere monitorato, per proporre una riforma in grado di resistere alla prova del tempo.
Mondi paralleli
La sintesi è presto fatta: con la nuova riforma dei medici di medicina generale si stanno per creare due mondi paralleli che si troveranno a convivere senza una logica comune. Professionisti che, teoricamente, esercitano lo stesso mestiere, domani si troverebbero a lavorare con modalità profondamente differenti. E penalizzanti per i giovani, che non hanno certo colpe, se non quella di non avere costruito una rete di relazioni tali da poter influenzare le decisioni del governo. Ma il conto delle decisioni sbagliate lo pagherà la collettività, con il peggioramento del servizio
Cosa si propone, allora? La vera riforma, epocale, dovrebbe essere quella di rendere tutti i medici di medicina generale dipendenti del Servizio sanitario nazionale, garantendo loro le tutele del caso, e senza distinzioni tra “vecchi” e “nuovi” dottori. Perché se già oggi trovare un medico di famiglia è un’impresa, cosa succederà tra qualche anno se non si cambia rotta?
Fonte : Wired