Messo al bando e riabilitato come dopo una lunga messa a fuoco che inquadrasse infine di cosa si trattava veramente. Strana la vita di Peeping Tom, film che affossò la carriera di Michael Powell, e che a sessantacinque anni dall’uscita ne rappresenta il capolavoro. Recentemente restaurato in 4K grazie anche all’intercessione di Martin Scorsese, tra i primi a certificarlo come uno dei più grandi horror di sempre, eppure inesorabilmente spernacchiato nei suoi infelici giorni nelle sale inglesi.
In Italia passò – quasi nel disinteresse generale – come L’occhio che uccide. La traduzione letterale, va ammesso, non doveva rappresentare il massimo dell’acume promozionale: guardone è quello che significa, nel gergo anglofono, Peeping Tom. Il riferimento è al giovanotto di Coventry che leggenda volle diventato cieco guardando Lady Godiva nuda a cavallo, per protestare contro i tributi imposti dal conte suo marito.
E del resto a ogni latitudine e in ogni tempo, è stato minacciato di cecità qualsiasi adolescente alle prese con certi primi appetiti: non toccare, e nemmeno guardare. Mark Lewis, il protagonista del film, lo fa eccome. Una cosa e l’altra. Un po’ più che adolescente, giovane londinese con le fattezze di Karlheinz Böhm, spera di diventare regista e nel frattempo fa l’assistente agli studios. Arrotonda facendo foto softcore a modelle, va in giro con la sua inseparabile Bell & Howell sotto il cappotto Montgomery, e la usa per immortalare il terrore delle sue vittime prima di farle fuori. E poi si riguarda tutto con calma. Neanche troppa: dietro c’è un vecchio trauma infantile legato al padre (cameo dello stesso Michael Powell) che studiava i meccanismi della paura usando il suo pargolo come cavia. Sempre rigorosamente su pellicola.
Peeping Tom, lobbycard, from left: Anna Massey, Carl Boehm, 1960. (Photo by LMPC via Getty Images)LMPC/Getty Images
Peeping Tom, voyeurismo e amore per il cinema
L’evidenza è quella di certe affinità elettive con il coevo Psyco e con La finestra sul cortile, precedente di sei anni. Eppure Peeping Tom era allo stesso tempo qualcosa di diverso, qualcosa se possibile più complesso, meno indulgente. Più spietato, semplicemente: una disturbante e pruriginosa riflessione sulla potenza del cinema, sulla sua mitologia, sul loop di un rito freudiano ogni volta che si spengono le luci. In Rear Window lo sguardo indiscreto era teso a indagare una violenza, a risolvere l’evento delittuoso. In Peeping Tom a esserne artefice, a commetterlo per risolversi.
Prostitute riprese di nascosto nei vicoli di Soho, poi meno di nascosto, infine trucidate nel momento stesso in cui si rendono conto che stanno per essere trucidate. Bambini terrorizzati nel sonno e ripresi in 16 mm, lucertole tra le lenzuola, salottini solitari dietro tende di velluto per antesignani snuff-movies. E poi crescendo di pianoforte, spiritati sguardi maniacali, pornografia e morte, eros e thanatos. Considerarlo nauseabondo fu probabilmente il feedback più gentile nel regno di Sua Maestà, il cui ritratto puritano è nel signore attempato a inizio film, venuto in edicola a chiedere salaci vedute a colori di cui gli hanno parlato certi amici, e a portarle via nascoste dentro il Times.
Fonte : Wired