Signal, boom di download. Ecco come funziona la chat segreta usata da Trump e altri politici

Sull’onda delle rivelazioni dell’Atlantic rispetto ai pieni per l’offensiva statunitense contro le milizie houthi nello Yemen, diffusi senza alcuna cautela dai massimi vertici dell’amministrazione Usa a partire dal vicepresidente JD Vance in una chat di gruppo su Signal in cui era stato inserito per errore anche il direttore del magazine statunitense Jeffrey Goldberg, è tornato a crescere l’interesse per la piattaforma di messaggistica sicura. Un’app che anni fa venne suggerita perfino dalle Nazioni Unite come canale d’elezione per inviare a giornalisti e ong le prove degli abusi commessi da regimi totalitari in giro per il mondo.

Il picco nei download. Anche nello Yemen

Da quando la storia dell’Atlantic è stata pubblicata lunedì scorso i download mondiali di Signal su App Store di Apple e Google Play sono aumentati del 28% rispetto alla media giornaliera degli ultimi 30 giorni, almeno stando ai numeri della società di analisi sulle app Appfigures. Negli Stati Uniti i download sono aumentati del 45% lunedì e – guarda caso – in Yemen del 42%. Prima dello scandalo, Signal era classificata al 50esimo posto tra le app di social media in Yemen ma è salita al nono posto lunedì. Sul negozio italiano di Cupertino Signal è invece al quinto posto fra le app di social network. Dinamiche simili si registrano negli store digitali di mezzo mondo, che hanno regalato all’app sviluppata da Signal Foundation, un’organizzazione no-profit, e da Signal Messenger – nonché fondata da Moxie Marlinspike, pseudonimo del 45enne ricercatore statunitense Matthew Rosenfeld – una nuova fiammata di (meritata) popolarità.

Ma che cos’è, quindi, Signal? Si tratta di un’app di messaggistica istantanea disponibile per Android, iOS e desktop (per Windows, macOS e Linux, scaricabile dal sito ufficiale di Signal) con cui, in modo simile alle altre che usiamo ogni giorno, inviare e ricevere messaggi di testo, effettuare chiamate vocali o videochiamate, condividere contenuti multimediali ma dove ogni conversazione è protetta da crittografia end-to-end. Solo mittente e destinatario possono cioè accedere e visualizzare il contenuto delle conversazioni. Nessun altro.

Metadati e crittografia end-to-end

Fra l’altro, a ulteriore garanzia di riservatezza, Signal (che conta oltre 40 milioni di utenti globali) si può adoperare anche utilizzando un semplice nome utente, senza inserire un numero di telefono e sono presenti, ben prima che venissero implementate altrove come su Whatsapp, funzionalità come i messaggi a scomparsa, la crittografia anche per le videochiamate e le telefonate e l’invio blindati dei contenuti. Di fatto, il punto centrale è che la crittografia end-to-end è di default e copre l’intero flusso delle comunicazioni. Anche WhatsApp la applica ma raccogliendo molte più informazioni sugli account e sui dispositivi degli utenti. Telegram, infine, implementa la crittografia end-to-end solo alle chat segrete e non a quelle individuali, di gruppo e ai canali. Su Signal, insomma, c’è insomma molto poco da condividere di proprio e dunque molto poco, in caso di indagini o accertamenti da parte delle autorità ma anche di qualsiasi altra organizzazione, che si possa raccontare e sapere rispetto al singolo utente. Ne avevamo parlato in passato, sottolineando come questo aspetto fosse costato a Signal di essere inserita nell’elenco dei nemici della sicurezza pubblica non solo da parte di regimi autoritari ma anche di governi democratici.

Meredith Whittaker alla guida della Signal Foundation

Come non bastasse, Signal è da sempre un progetto open source – oggi la fondazione che lo sviluppa è guidata da Meredith Whittaker, ex dipendente di Google uscita in polemica dal colosso nelle campagne del 2018 – e il suo codice sorgente è visibile ed esaminabile da chiunque. Così come chiunque può anche contribuire a svilupparlo e al contempo controlla la struttura complessiva. La stessa presidente della fondazione sembra una garanzia: ?Whittaker è infatti una ricercatrice e attivista statunitense specializzata nell’etica dell’intelligenza artificiale e nella privacy dei dati. Ha appunto iniziato la sua carriera a Google, dove ha lavorato per oltre un decennio occupandosi di questioni legate all’IA e alla privacy. Durante la sua permanenza in Big g ha co-fondato il Google Open Research Group e ha contribuito allo sviluppo di strumenti open-source per l’analisi dei dati.? Nel 2018 è stata una delle figure chiave nell’organizzazione del “Google Walkout for Real Change“, una protesta dei dipendenti contro le politiche dell’azienda riguardo alle molestie sessuali e alla trasparenza su diversi fronti, come il riconoscimento facciale. Successivamente ha lasciato Mountain View e ha co-fondato l’AI Now Institute alla New York University, un centro di ricerca dedicato allo studio delle implicazioni sociali dell’intelligenza artificiale.? Whittaker è insomma una voce influente nel dibattito sull’etica dell’IA e su temi come la sorveglianza, la privacy e l’impatto sociale delle tecnologie emergenti.

Fonte : Repubblica