Quando Tartarughe Ninja alla riscossa esce in sala, quel 30 marzo 1990, tutto è pronto per farlo diventare ciò che sarà: un successo assolutamente incredibile. Non poteva essere diversamente, visto l’impatto che il franchise aveva avuto su carta stampata, piccolo schermo, in ogni negozio di giocattoli negli anni precedenti. Dopo 35 anni, rimane uno dei migliori prodotti mainstream che siano mai stati concepiti, soprattutto uno dei più divertenti e spumeggianti.
Un universo nato dalla fantasia di due fumettisti un po’ matti
Per comprendere come sia stato possibile che Tartarughe Ninja alla riscossa sia stato capace di raccogliere qualcosa come 200 milioni di dollari con si e no 15 milioni di budget (una delle hit più sorprendenti di quel periodo), occorre abbracciare una certezza: fu un risultato connesso alla sua stessa origine. Il mercato audiovisivo, cartaceo e quello legato ai giocattoli durante gli anni ’80 erano stati strettamente uniti. Alcuni tra i franchise di maggior successo infatti, dai Transformers ai Dino-Riders, da He-Man per poi passare agli eroi della DC Comics o Marvel, erano protagonisti di fumetti, così come di serie animate, e naturalmente linee di giocattoli che andavano letteralmente a ruba. Tuttavia, portare tutto questo sul grande schermo non sembrava facile, e soprattutto non era garanzia di successo. Eppure, già allora Tartarughe Ninja alla riscossa era senza ombra di dubbio uno dei simboli della teen culture più importanti di quel decennio appena conclusosi.
La rivoluzione dell’industria dei fumetti, aveva permesso di abbassare i costi di produzione e distribuzione in quegli anni, e aveva trovato una nuova generazione di autori, disegnatori, nuove idee e personaggi, che avevano fatto breccia in modo a dir poco preponderante. Kevin Eastman e Peter Laird pubblicarono a proprie spese nel 1984 il primo numero di una saga che si muoveva a metà tra l’omaggio e la parodia di diversi tre personaggi più importanti della Marvel e della DC Comics. Approfittando dell’era del direct market, chi aveva permesso la proliferazione di una marea di case editrici indipendenti, da piccolo prodotto di nicchia, le Tartarughe Ninja diventarono un vero e proprio fenomeno generazionale, che cambiò la storia del mercato indipendente. Tartarughe Ninja alla riscossa fu prima di tutto però una serie animata, che dal 1987 portò Leonardo, Donatello, Raffaello e Michelangelo a diventare degli idoli per ogni bambino e adolescente.
Ma il cinema all’epoca era un’altra cosa, si pensava che senza il pubblico adulto un’operazione così fosse destinata a fallire. Walt Disney, Universal, 20th Century Fox e Warner Bros, per dirne alcune, rifiutarono di produrre e soprattutto distribuire il film, girato in realtà tra gli Studios e solo per qualche inquadratura a New York, città simbolo del quartetto di tartarughe antropomorfe e del loro maestro roditore. Tartarughe Ninja alla riscossa arrivava tre anni dopo il terribile flop al botteghino di Masters of the Universe. Quel film partiva da un franchise ancora più importante, sviluppato dalla Mattel, ma era stato un disastro di critica e pubblico. Non era andata meglio neppure i popolarissimi Transformers, che avevano venduto giocattoli per anni. Il film d’animazione del 1986 era stato un’enorme delusione anch’esso. Per fortuna ci pensò la New Line Cinema, in quel momento un piccolo regno soprattutto per il cinema indipendente e ai B-Movies, a venire in soccorso al film.
La sceneggiatura di Todd W. Langen e Bobby Herbeck riprendeva per sommi capi la linea narrativa dei fumetti originali, e solo vagamente qualcosa della serie animata. L’aspetto fondamentale era rendere credibile il tutto con interpreti veri, reali, che si muovevano sullo sfondo della Grande Mela, in un ambiente squisitamente urban, dove ancora oggi è possibile vedere risplendere il meglio dei riferimenti alla subcultura giovanile di quegli anni. In effetti parlare di Tartarughe Ninja alla riscossa, significa parlare di un film studiato per un target, quello adolescenziale, che se in altre occasioni si era rivelato deludente, qui invece fu la chiave del successo. E quindi eccoci qui, 35 anni dopo, a ripensare alla giornalista April O’Neal, al Clan del piede che rende New York una giungla in fin dei conti non diversa do ciò che Robocop, così come altri film dell’epoca, avevano descritto.
Un fenomeno generazionale arrivato fino ai giorni nostri
Bisogna infatti ammettere che il film di Steve Barron rappresentava semplicemente in un modo un po’ più soft, la microcriminalità che aveva reso gli anni ’80 nelle grandi metropoli americane un vero e proprio incubo. A rifletterci meglio poi, tutti i protagonisti si rifacevano molto alle minoranze che in quegli anni del reaganismo venivano emarginate, ghettizzate. Leonardo e gli latri in fondo abitano nelle fogne! Qui però, non erano i cocaine cowboys o i serial killer il cattivi, ma Shredder, il Capo del clan del piede, un super Ninja malvagio. In lui vi era un altro elemento del film che rendeva omaggio al cinema di arti marziali. E poi ci stavano loro: Leonardo, Raffaello Donatello e Michelangelo, affamati di pizza, adolescenti tartarugosi esperti di arti marziali, ognuno diverso per carattere e stile, diventati tali dopo essere stati a contatto con una specie di pozione radioattiva, sono ancora oggi un mix semplicemente fantastico.
Fonte : Wired