Caso Signal, e se l’uso dell’app da parte dei vertici del governo Usa non fosse un errore?

Il caso della chat su Signal che ha permesso al direttore dell’Atlantic Jeffrey Goldberg di avere informazioni sull’attacco in Yemen delle forze armate statunitensi sta sollevando una bufera che scuote i vertici della Casa Bianca. Se l’inserimento del giornalista nel gruppo che vedeva tra i partecipanti anche il Consigliere per la sicurezza nazionale, il Vicepresidente Usa e membri della CIA può essere considerato un errore madornale, le critiche di media e osservatori si stanno concentrando anche sull’opportunità di utilizzare un software commerciale per scambiare informazioni sensibili.

Più che di semplice superficialità, però, in questo caso potrebbe trattarsi di una precisa strategia dettata dal timore che i tradizionali sistemi di “comunicazione sicura” non fossero poi così sicuri. Certo, siamo nel campo delle speculazioni. A ben guardare, però, gli indizi per giustificare una simile scelta sono piuttosto numerosi.

L’ombra di Pechino sulle telecomunicazioni Usa

Negli ultimi mesi, negli Stati Uniti, la sicurezza delle comunicazioni è diventato un tema delicatissimo. Più precisamente, a partire dall’ottobre del 2024, l’intera nazione convive con il dubbio di essere soggetta a un sistema di sorveglianza di massa controllato dalla Cina. È in quel momento, infatti, che le autorità statunitensi hanno annunciato di aver individuato un attacco hacker che avrebbe consentito al gruppo Salt Typhoon di infiltrare i sistemi informatici di nove società di telecomunicazioni tra cui Verizon, AT&T, T-Mobile e Lumen. Il gruppo hacker, considerato una diretta emanazione del governo di Pechino, aveva da tempo imprecisato accesso a tutti i sistemi di telefonia mobile.

Nella pratica, Salt Typhoon aveva la possibilità di leggere qualsiasi sms (non criptato) e registrare le informazioni relative a qualsiasi chiamata sul territorio statunitense. Come se non bastasse, l’infiltrazione nelle telco made in Usa avevano permesso agli hacker cinesi di accedere anche ai sistemi di intercettazione utilizzati da FBI, forze di polizia e agenzie federali. Negli Stati Uniti, infatti, questi sistemi sono gestiti (sic!) direttamente dalle società di telecomunicazioni.

Stando a quanto emerso in seguito, i cyber-spioni di Pechino avrebbero anche provato a sfruttare i sistemi per intercettare i telefoni di Kamala Harris, J.D. Vance e dello stesso Donald Trump durante la campagna elettorale per le presidenziali. Il problema è che il caso non è stato definitivamente considerato come “risolto”. Perché una cosa è accorgersi della presenza di un hacker nei sistemi, un’altra è avere la certezza di aver eleminato ogni backdoor dalle reti di telecomunicazioni.

Fonte : Wired