Albania, il governo ha approvato il nuovo decreto trasformando i “centri” in strutture per rimpatri

Il Consiglio dei ministri ha approvato il nuovo “decreto Albania”. Si tratta di un intervento legislativo che modifica il funzionamento dei centri per migranti già costruiti nel paese balcanico, trasformandoli a tutti gli effetti in Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), strutture – cioè – dove vengono trattenuti gli stranieri in attesa di essere rimpatriati nei loro paesi d’origine. Il provvedimento rappresenta il tentativo del governo di rilanciare un’operazione strategica che nei mesi scorsi si era arenata a causa dei ripetuti interventi della magistratura, che aveva bloccato i trasferimenti dei migranti nei centri di Shengjin e Gjader ritenendo illegittimi i trattenimenti e ordinando il loro rientro in Italia.

L’iniziativa italiana dei centri migranti in Albania ha segnato un punto di svolta nel dibattito europeo sulle politiche migratorie. La premier Meloni era riuscita a far inserire nelle conclusioni del Consiglio europeo di marzo 2025 uno specifico riferimento alla possibilità di esternalizzare la gestione dei migranti, ottenendo il sostegno di diversi paesi tra cui Danimarca, Austria e Paesi Bassi. Il “modello Albania” è diventato così un punto di riferimento nel dibattito comunitario sulla dimensione esterna della politica migratoria.

Il nuovo decreto

Il nuovo decreto, composto da un solo articolo oltre a quello che ne disciplina l’entrata in vigore, non modifica l’accordo bilaterale con l’Albania ma interviene sulla legge italiana che lo ha recepito. La modifica sostanziale consiste nell’ampliare la categoria di migranti che possono essere trasferiti nei centri albanesi, includendo anche coloro che si trovano già sul territorio italiano e sono destinatari di provvedimenti di espulsione. In questo modo, il governo intende utilizzare le strutture già realizzate come veri e propri Cpr, una funzione che era comunque prevista nell’accordo originale, che contemplava un centro da 144 posti per questa finalità. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha precisato che non serviranno risorse aggiuntive per l’operazione.

La questione dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) è particolarmente rilevante nel contesto delle politiche migratorie italiane. I Cpr sono strutture dove vengono trattenuti gli stranieri irregolari in attesa di essere identificati e rimpatriati, con tempi di permanenza che, secondo la normativa attuale, possono arrivare fino a 18 mesi. Il governo Meloni ha puntato molto sul potenziamento di queste strutture come parte della strategia per contrastare l’immigrazione irregolare, anche attraverso la creazione di nuovi centri sul territorio nazionale. L’accordo con l’Albania rappresentava un’estensione di questa politica, con l’obiettivo di delocalizzare parte delle procedure di rimpatrio in un paese terzo ma geograficamente vicino. La riattivazione dei centri in Albania come strutture per i rimpatri potrebbe consentire di alleggerire la pressione sui Cpr italiani, spesso sovraffollati e al centro di polemiche per le condizioni di vita al loro interno. Tuttavia, rimangono significative incognite sul futuro dell’operazione, a partire dalla risposta che darà la magistratura italiana di fronte ai nuovi trattenimenti e dalla prossima sentenza della Corte di Giustizia Europea sulla questione dei paesi sicuri, attesa nei prossimi mesi.

Il contesto dell’accordo Italia-Albania

L’accordo tra Italia e Albania, siglato nell’ottobre 2023 dalla premier Giorgia Meloni e dal primo ministro albanese Edi Rama, prevedeva originariamente la creazione di due strutture sul territorio albanese: un centro di prima accoglienza nel porto di Shengjin e un centro più ampio nell’entroterra, a Gjader, per le procedure di rimpatrio. Secondo l’intesa iniziale, in questi centri potevano essere trasferiti solo i migranti soccorsi in acque internazionali da navi italiane, con l’esclusione di donne, bambini e soggetti vulnerabili, e provenienti dai cosiddetti “paesi sicuri”, ovvero nazioni in cui, secondo la valutazione del governo italiano, non esistono rischi di persecuzione o trattamenti inumani.

Fonte : Wired