Comparatori di tariffe, mancano le regole. E nessuno sa chi deve fissarle

Come confrontano le offerte i comparatori di tariffe? Un servizio utilissimo, senza dubbio, per orientarsi nella giungla delle opzioni. Ma che, evidentemente, ha qualche problema. La denuncia arriva da Octopus energy, una società di energia elettrica sbarcata in Italia l’anno scorso. Parte in causa, quindi, ma non è questo il punto. Perché la segnalazione merita di essere approfondita.

L’ad Giorgio Tommasetti ha provato a fare la stessa ricerca in tre comparatori diversi. “I risultati sono stati ogni volta differenti. Mi chiedo se sia sensato” dice a Wired mostrando i dati. Da cui si evince che la stessa tariffa (di Octopus), per la stessa tipologia di cliente, produce tre risultati diversi su tre differenti comparatori: 457,68 euro l’anno nel primo caso, 478,19 nel secondo 492,85 nell’ultimo. Un problema. Perché il cliente ha la percezione che il confronto proposto dai comparatori sia basato solo sui prezzi. In realtà non è così.

Ma come funzionano i comparatori di tariffe?

Essenzialmente, quello dei comparatori è un servizio come tanti su internet. E, dal momento che sul web niente è veramente gratuito, anche in questo caso – se l’utente non paga nulla – c’è qualcun altro che sborsa i quattrini necessari a tenere in piedi la baracca: le stesse aziende che vengono raffrontate. Con le quali, spiega Tommassetti, “viene stiputato un contratto d’agenzia”. Cosa significa? “C’è, spiega, una proporzionalità tra numero di contratti venduti sul sito del comparatore e le provvigioni percepite da quest’ultimo”. Esisterebbero anche “pacchetti acquistabili che consentono di scalare la classifica, di comparire nelle prime posizioni del ranking“.

Ogni comparatore ha delle compagnie energetiche partner”, riprende Tommassetti. Non c’è un contratto standard. “Ogni accordo è diverso, viene negoziato tra le parti” in base alla forza contrattuale. “A noi può anche andar bene”, afferma il manager. “Ma se è tutto chiaro, allora deve essere indicato. E alcuni lo fanno: altri, invece, no”.“Il cliente deve sapere che nel meccanismo della comparazione entrano delle forme di pagamento, e che c’è il rischio che le politiche commerciali entrino nelle logiche della comparazione. Potenzialmente, ci vediamo un conflitto di interesse”.

Comparatori, mancano le norme in materia

Già, ma chi dovrebbe fissare le norme? Qui iniziano i problemi. Wired ha provato a indagare. Ma la confusione si è rivelata inestricabile. Ci sono tre soggetti che si possono ipotizzare coinvolti: Arera (l’authority per l’energia), Antitrust (Agcm, che si occupa di concorrenza) e AgCom (l’autorità competente per la comunicazione: in questo caso il riferimento è al fatto che parliamo di siti web). Wired ha contattato tutte e tre, ottenendo poco.

Manca, si può sintetizzare così il nostro percorso di ricerca, una disciplina organica. L’Antitrust agisce motu proprio o su su segnalazione di cittadini e giornali, che possono collaborare inviando le proprie lamentele. Ha irrogato, in passato, sanzioni in alcuni casi di abuso; è priva, però, di poteri normativi. Quelli di cui, invece, dispone l’Arera, ma – precisa – solo su questioni tecniche legate al mondo dell’energia: e nel caso dei comparatori ci troviamo, invece, sul terreno dei servizi di pubblicità. L’autorità è (significativamente) corsa ai ripari da alcuni anni creando un proprio portale destinato ai cittadini, Portaleofferte, che fa due milioni e mezzo di visitatori l’anno (dato 2023) e compara le tariffe: ma è poco pubblicizzato, e certo non può competere con i budget del marketing dei privati.
Per quanto riguarda l’AgCom, la risposta alla nostra richiesta è laconica: suggerisce di rivolgersi alle altre due.

E’ un peccato. Perché, nota Tommasetti, “in Gran Bretagna dai comparatori passa il 60% dei contratti. In solo il 15%“. E senza confronto nel merito (anche nei servizi, aspetto ignorato), vince chi sa pubblicizzarsi meglio. O è più grande, o gode di rendite di posizione. Difficile per i nuovi farsi spazio.

Fonte : Wired