Non chiamatelo Word! Come regalare pubblicità gratuita (e perdere libertà digitale)

Viviamo immersi nella tecnologia, la usiamo quotidianamente per lavorare, studiare, comunicare. Eppure, spesso, ci lasciamo sfuggire l’importanza delle parole. “Word”, “Excel” e “PowerPoint” sono diventati, nel linguaggio comune, sinonimi rispettivamente di elaboratore di testi, foglio di calcolo e software per presentazioni. Tuttavia, questa consuetudine è fuorviante e limitante: è un errore concettuale, culturale e, in certi contesti, persino contrario alle buone pratiche richieste dalla normativa.

Immaginiamo di chiamare ogni smartphone “iPhone”, sarebbe riduttivo e impreciso, poiché esistono innumerevoli marchi e modelli con caratteristiche diverse.

Allo stesso modo, il mondo del software offre una vasta gamma di alternative a Microsoft Office, spesso altrettanto valide, se non superiori, in determinati contesti.

Perché questa consuetudine è problematica?

  • limita la consapevolezza: molti utenti non sono consapevoli dell’esistenza di alternative valide, rimanendo ancorati a software costosi e proprietari
  • ostacola la concorrenza: l’uso dei nomi dei prodotti Microsoft come termini generici rafforza il loro dominio di mercato, a scapito di soluzioni più innovative e accessibili
  • ignora le esigenze specifiche: ogni utente ha esigenze diverse. Esistono software specializzati per ogni settore, con funzionalità avanzate e personalizzabili.

In retorica si chiama sineddoche (sineddoche tecnologica in questo caso): usare la parte per il tutto. Nella vita quotidiana può essere innocuo, ma nel campo della tecnologia è un errore che rischia di alimentare confusione e monopolio.

Dire “Word” significa trasformare un prodotto specifico in sinonimo di una categoria intera. È come dire “Scottex” al posto di carta assorbente o “Nutella” per qualsiasi crema di nocciole.

Sarebbe come se i giornalisti, i docenti e i funzionari pubblici parlassero solo di una marca di automobile quando si riferiscono a “un’auto” o come se giornalisti, docenti e funzionari pubblici parlassero solo di un’unica catena quando intendono “un supermercato”.

Forse fa sorridere, ma è un’abitudine che, applicata alla tecnologia e in ambiti istituzionali, può diventare pericolosa, alla lunga, è una forma di pubblicità occulta.

È sbagliato, anti-educativo e rischioso. Un’abitudine che fa il gioco delle multinazionali, a discapito della pluralità e della libera scelta.

Ancora peggio se questo succede nella Pubblica Amministrazione, nelle scuole, nelle università pubbliche dove è doveroso utilizzare un linguaggio neutro, che descriva le funzioni, non i marchi. Non è solo questione di accuratezza, ma di libertà di scelta e di educazione al pensiero critico. Se un cittadino sente dire che “bisogna usare Word”, penserà che esista una sola possibilità. Se invece si parla di “editore di testo”, si apre un mondo: strumenti diversi, ognuno con le proprie caratteristiche, costi, licenze e libertà.

Senza considerare (ma forse sarebbe meglio farlo) che in Italia esiste da 20 anni (VENTI!) una normativa precisa che invita la Pubblica Amministrazione a preferire software libero e open source. Il Codice dell’Amministrazione Digitale (D.Lgs. 82/2005 e successive modifiche) all’art. 68 stabilisce l’obbligo di valutare soluzioni di software libero e di favorirne l’adozione quando possibile. Inoltre, la Circolare AgID n. 3/2018 ribadisce il principio di neutralità tecnologica e la necessità di non vincolare i cittadini e le amministrazioni a un solo fornitore o a software proprietari, promuovendo la concorrenza e l’innovazione. Usare nel linguaggio ufficiale nomi commerciali significa di fatto promuovere inconsciamente prodotti proprietari, in contrasto con questi principi.

Ma possiamo (dobbiamo) anche andare oltre la normativa educando alla consapevolezza digitale. Insegnare ai cittadini – di ogni età – a distinguere tra categoria e marchio significa renderli più consapevoli. Un utente che sa cosa sia un editore di testo potrà scegliere liberamente se utilizzare un programma proprietario o open source, valutando funzionalità, costi e libertà di utilizzo. Un utente che sente sempre e solo “Word” rischia di non sapere nemmeno che esistano alternative gratuite, etiche e perfettamente funzionali.

Usare la parola giusta “editore di testo”, “foglio di calcolo”, “software di presentazione” è un piccolo gesto di responsabilità; insegna che la tecnologia non è solo consumo passivo, ma scelta, conoscenza, consapevolezza; aiuta a smascherare le dinamiche di monopolio culturale e a promuovere una società più libera; usiamo la lingua anche come strumento di autonomia!

Il panorama del software per la produttività è ricco di alternative a Microsoft Office, sia open source che proprietarie.

Elaboratori di testi:

  • LibreOffice Writer: gratuito, open source e compatibile con i formati di Microsoft Word.
  • Google Docs: basato su cloud, ideale per la collaborazione online.
  • OnlyOffice: compatibile al 100% con i formati microsoft, e utilizzabile sia in cloud che in locale.

Fogli di calcolo:

  • LibreOffice Calc: potente e versatile, con funzionalità avanzate per l’analisi dei dati.
  • Google Sheets: ideale per la collaborazione in tempo reale e l’analisi di dati online.
  • OnlyOffice Spreadsheets: come per writer è totalmente compatibile con i formati excel.

Software per presentazioni:

  • LibreOffice Impress: permette di creare presentazioni multimediali di alta qualità.
  • Google Slides: semplice e intuitivo, perfetto per presentazioni online e collaborative.
  • OnlyOffice Presentation: come per gli altri due software della suite, la compatibilità con i file di power point è totale.

Inoltre il software open source inoltre offre numerosi vantaggi:

  • la maggior parte dei software open source è gratuita, riducendo i costi per utenti e organizzazioni
  • il codice sorgente è pubblico, garantendo trasparenza, sicurezza e possibilità di personalizzazione
  • una grande comunità di sviluppatori contribuisce al miglioramento continuo del software
  • l’open source non dipende da un singolo fornitore, evitando il rischio di lock-in!

La scelta consapevole e responsabile del software contribuisce a creare un ecosistema digitale più aperto, inclusivo e competitivo.

Insegnare ai cittadini – di ogni età – a distinguere tra categoria e marchio significa renderli più consapevoli. Un utente che sa cosa sia un editor di testo potrà scegliere liberamente se utilizzare un programma proprietario o open source, valutando funzionalità, costi e libertà di utilizzo. Un utente che sente sempre e solo “Word” rischia di non sapere nemmeno che esistano alternative gratuite, etiche e perfettamente funzionali.

La prossima volta che vi verrà spontaneo dire “mandami un file Word”, fermatevi un secondo. Chiedetevi: cosa sto davvero chiedendo? Un file di testo modificabile. Bene: allora usate quelle parole. Perché le parole contano. E la libertà digitale comincia dal linguaggio.

Usare nel linguaggio ufficiale nomi commerciali significa di fatto promuovere inconsciamente prodotti proprietari, in contrasto con il principio di neutralità tecnologica.

E ricordiamolo: a meno che non siate pagati da Microsoft, fare pubblicità gratuita non ha davvero alcun senso!

Fonte : Repubblica