La scoperta della penicillina risale al 1928. E da allora, gli antibiotici hanno contribuito a salvare milioni di vite in tutto il mondo, allungando di ben 23 anni la durata media della vita umana. Negli ultimi decenni, però, questa rivoluzione medica e sociale sembra entrata in crisi: i batteri stanno imparando ad aggirare l’azione degli antibiotici, nuove molecole latitano, e il risultato è un numero crescente di decessi causati da microorganismi un tempo curabili, contro cui le nostre medicine non hanno però più effetto. È l’attuale emergenza legata all’antibiotico resistenza, un pericolo che secondo alcune previsioni potrebbe arrivare a uccidere oltre 10 milioni di persone l’anno entro il 2050. E che vede già oggi il nostro paese tra i più colpiti, prima tra le nazioni europee per numero di nuove infezioni resistenti registrate ogni anno.
La soluzione è semplice, metterla in pratica molto meno: servono azioni che riducano la diffusione di microorganismi multiresistenti, e di pari passo, c’è bisogno di nuovi antibiotici contro cui i batteri non abbiano ancora sviluppato difese efficaci. Ed è in questa direzione che va una scoperta presentata di recente su Nature: una molecola con un meccanismo d’azione fino ad oggi sconosciuto, e che sembra avrebbe ottime chance di diventare, in futuro, la prima nuova classe di antibiotici a raggiungere il mercato in oltre 30 anni.
Pandemia silenziosa
Come dicevamo, la resistenza antimicrobica è ormai un’emergenza sanitaria globale: provoca 10mila morti l’anno nel nostro paese, 33mila in Europa, diversi milioni in tutto il mondo. “Noi la definiamo una pandemia silenziosa, perché non riceve l’attenzione che abbiamo riservato a una malattia come Covid 19, ma ha comunque conseguenze catastrofiche in tutto il mondo”, conferma Marco Tinelli, infettivologo e consulente del Ministero della Salute per il Piano Nazionale di Contrasto all’Antibiotico-Resistenza, che abbiamo intervistato a margine del decimo congresso Amit – Argomenti di Malattie Infettive e Tropicali – di cui è co-presidente insieme ad Antonella Castagna, primario di malattie infettive del San Raffaele di Milano. “In Italia scontiamo gli errori del passato, quando per decenni abbiamo abusato in modo estremo degli antibiotici, alimentando così l’insorgenza di ceppi multiresistenti che ci hanno reso uno dei paesi europei con il numero maggiori di casi e di decessi. La risposta istituzionale però c’è stata, con il Piano Nazionale di Contrasto all’Antibiotico-Resistenza che sta ricevendo il suo terzo aggiornamento per il 2026, di cui si iniziano a vedere i risultati positivi”.
L’approccio che viene utilizzato per prevenire e ridurre la diffusione dei superbatteri è quello del ‘One Health’, che riconosce cioè la relazione indissolubile tra la salute umana, quella animale e quella dell’ambiente. Si punta quindi a ridurre i consumi non appropriati di antibiotici nella popolazione e negli ospedali; a diminuirne l’utilizzo veterinario, per evitare che gli allevamenti si trasformino in serbatoi di superbatteri; e al monitoraggio delle acque reflue, che possono funzionare da siti di diffusione dei meccanismi di resistenza.
“A fianco alle strategie di prevenzione e mitigazione, è importante anche avere a disposizione un armamentario terapeutico da utilizzare quando emergono infezioni multiresistenti – sottolinea Tinelli – quella con i batteri è una rincorsa continua, più si utilizza una molecola, più è probabile che emerga un ceppo resistente. Per questo motivo abbiamo dei farmaci di nuova generazione definiti ‘reserve’, che vengono prescritti con molta cautela solo dagli specialisti e solo quando è certa la loro utilità. Anche contro queste molecole però abbiamo iniziato a veder emergere le prime resistenze. Ed è per questo che la ricerca di nuovi antibiotici, e soprattutto nuove classi di antibiotici con meccanismi di azione innovativi, sarà sempre più importante in futuro”.
Una scoperta inaspettata
È proprio a questa esigenza di nuove molecole antibiotiche che va incontro la ricerca appena pubblicata su Nature. La molecola in questione si chiama lariocidina, ed è un cosiddetto peptide lasso, capace di interagire con i ribosomi batterici, gli organelli in cui vengono sintetizzate le proteine, impedendone il funzionamento. È innocua per le cellule del nostro organismo, e – particolare realmente interessante – sembra efficace anche contro ceppi batterici che hanno sviluppato resistenza a moltissimi antibiotici.
Gli autori dello studio l’hanno identificata praticamente per caso, in un batterio della specie Paenibacillus, isolato da un campione di suolo prelevato dal giardino di uno dei tecnici del laboratorio dove è stata effettuata la scoperta. La lariocidina è stata sperimentata in vitro contro una moltitudine di batteri, confermando che il suo meccanismo di azione, diverso da quello di tutti gli altri antibiotici attualmente in uso, è efficace anche su batteri tradizionalmente resistenti ai farmaci.
Il nuovo antibiotico che può sconfiggere i super batteri e salvare milioni di persone
È stata quindi sperimentata anche in un modello animale: topi con un’infezione provocata da Acinetobacter baumannii C0286, un ceppo di batteri resistente ai carbapenemi, antibiotici ad ampio spettro riservati di solito come ultima risorsa, quando tutte le terapie risultano inefficaci. In assenza di trattamento, i topi non sopravvivono più di 28 ore quando vengono infettati da questi batteri. Quelli trattati con la lariocidina erano ancora vivi a oltre 48 ore dall’infezione, e presentavano una riduzione importante nei livelli di batteri presenti nel loro sangue.
Per ora, insomma, la lariocidina ha tutte le carte in regola. Per vederlo arrivare sul mercato, però, serviranno ancora diversi anni: la molecola andrà modificata per potenziarne l’azione e ridurre il rischio di effetti collaterali, bisognerà sviluppare un metodo di produzione che ne permetta la fabbricazione industriale, e la sua efficacia andrà confermata con lunghe, e costose, sperimentazioni cliniche. Anche così, la scoperta di una promettente nuova classe di antibiotici è estremamente importante: sono 30 anni infatti che non se ne identifica una che riesca ad arrivare sul mercato, dal finire degli anni ‘80, più precisamente, quando vennero scoperti i lipopeptidi ciclici come la daptomicina.
Fonte : Today