Il vero problema del doppio lavoro dei parlamentari

Non basta solo la promessa, ci vuole anche il giuramento. Quando un impiegato pubblico inizia a lavorare per lo Stato deve fare prima la promessa solenne di fedeltà alla Repubblica davanti al capo dell’ufficio o a un suo delegato e in presenza di almeno due testimoni. Poi scatta il giuramento, ma solo quando diventa di ruolo. Una cosa seria, insomma per garantire di essere al servizio esclusivo della nazione. Lo statale di turno deve necessariamente pronunciare la seguente formula pena la rinuncia all’incarico:

“Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi dello Stato, di adempiere  ai doveri del mio ufficio nell’interesse dell’amministrazione per il pubblico bene”.

Con questo rito il dipendente statale di fatto rinuncia al secondo lavoro. Un’insegnante non potrà fare il giornalista freelance nel fine settimana, un assistente non potrà dare una mano nel tempo libero a un amico meccanico, tanto per fare qualche esempio. Ma allora perché i parlamentari possono avere più di un lavoro (ben retribuito)?

La domanda è lecita. Se la sono posta in tanti anche prima che il leader di Italia viva, Matteo Renzi, facesse scoppiare la polemica presentando una proposta di legge contro il doppio lavoro dei parlamentari (nella foto sotto i lavori e gli incarichi di deputati e senatori). Una mossa che a quanto pare sembrerebbe andare contro i suoi interessi, ma non è proprio così.

Deputati e senatori, incarichi e altri lavori - A Flourish data visualization

La vendetta di Renzi

Deputati e senatori siedono in Parlamento incassando 125mila euro lordi l’anno, molto più dei loro colleghi europei, svolgendo al contempo anche altre attività lavorative. Sono imprenditori, docenti, consulenti, dirigenti, amministratori delegati di società più o meno importanti. Possono continuare a fare l’avvocato, il notaio, l’ingegnere, l’architetto, senza che ci sia un conflitto di interessi e che questa seconda attività ‘rubi’ del tempo prezioso alla loro attività di legislatori.

Con la “legge Renzi” il senatore di Italia viva ha lanciato una crociata per la trasparenza, ma questa mossa sembra avere più il sapore della vendetta che altro. Una ritorsione contro il cosiddetto emendamento “anti-Renzi” che il governo ha inserito nell’ultima legge di bilancio per interrompere bruscamente la sua remuneratissima attività di consulente all’Arabia Saudita. Quella che nel 2023 gli ha fruttato ben 3,2 milioni di euro facendolo diventare il senatore più ricco d’Italia. E così l’ex premier ha deciso di lanciare una bomba contro i colleghi ‘paperoni’, quelli che lo hanno spodestato dalla vetta della classifica, sostenendo che la legge deve essere uguale per tutti.

I parlamentari più ricchi d’Italia

Nel 2024 al primo posto della classifica dei parlamentari più ricchi d’Italia c’era il deputato della Lega, Antonio Angelucci, con redditi superiori a 4,7 milioni di euro (nella foto sotto, il picco oltre i 6,2 mln nel 2018). Oltre a essere deputato è anche un imprenditore della sanità ed editore dei quotidiani di centrodestra Il Tempo, Libero e il Giornale.

Dichiarazione dei redditi deputato Antonio Angelucci 2018 - Camera-2

Medaglia d’argento alla deputata di Forza Italia, Cristina Rossello, con entrate superiori ai tre milioni di euro. Nel suo lunghissimo curriculum vitae c’è l’attività di avvocato civilista e cassazionista con propri studi a Milano, Roma, Bruxelles e Londra. È stata avvocata di Silvio Berlusconi nella causa di divorzio dalla seconda moglie Veronica Lario ed attualmente è anche consigliere di amministrazione di Mondadori. La deputata siede anche nei consigli di amministrazione di altre società, come Spafid la fiduciaria storica del gruppo Mediobanca, di Immobiliare Leonardo, dell’Associazione calcio Monza. E poi è anche vicepresidente della Fondazione Italia Usa (nella foto sotto le cariche e le attività lavorative di Cristina Rossello dichiarate alla data del 25 ottobre 2022). Sul gradino più basso del podio l’architetto e senatore a vita Renzo Piano, con poco più di 2,4 milioni, 2 dei quali dichiarati al fisco francese, 365mila in Italia.

Cristina Rossello cariche e attività lavorative - Camera

Incompatibilità a singhiozzo

Una cosa è certa, la proposta di Renzi non diventerà mai legge visto che a votarla saranno i diretti interessati. Nel frattempo però per i dipendenti pubblici, che a differenza di deputati e senatori guadagnano in media 35mila euro l’anno, vige il divieto di “esercitare il commercio, l’industria, le professioni, assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro”. Pensate che per gli statali sono vietati persino gli incarichi gratuiti. Insomma, continueranno a lavorare al servizio esclusivo dello Stato per evitare possibili conflitti di interesse con la ‘res pubblica’, mentre chi legifera continuerà ad avere decine di incarichi ben remunerati e ad accumulare ricchezze, guadagnando il diritto alla pensione dopo soli 5 anni di mandato. Solo io ci leggo una leggera sproporzione?

Eppure anche i deputati e i senatori così come i dipendenti pubblici prestano giuramento prima di assumere le funzioni. Pronunciano più o meno la stessa formula rituale:

“Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”.

Ma poi le incompatibilità con le altre attività lavorative, a quanto pare, risultano essere completamente diverse. Come diversa è la percezione della realtà considerando che qualche anno fa il deputato Piero Fassino del Partito democratico agitava in Aula il cedolino sostenendo che “4.718 euro al mese non è uno stipendio d’oro”. Che dovrebbero dire gli italiani del settore privato che in media prendono poco più di 30mila euro lordi l’anno? Continuo a essere dell’idea che ognuno debba svolgere una sola professione, per farlo al meglio, per dare più opportunità di lavoro a tutti. Ma sono consapevole che la mia è e resterà un’utopia. Voi come la pensate?

Quanti parlamentari perderebbero il (doppio) lavoro con la “legge Renzi”

Fonte : Today