Farfalle nello stomaco di Livio Ricciardi, le risposte alle domande dei lettori su sesso e amore

Prima per trovare qualcuno c’erano i bar, i parchi, le discoteche o cose del genere, oggi rimangono ma ci sono i social, le dating app e la dating culture. Questo implica una grande esposizione a un grande quantitativo di partner desiderabili o potenziali. Si potrebbe parlare di paradosso della scelta, dove avere troppe opzioni può rendere più difficile trovare qualcuno. C’è anche la dating fatigue, ovvero il senso di sopraffazione percepito quando si fa dating in modo molto quantitativo per trovare qualcuno. Oppure il tinder blues, ovvero quel senso di tristezza, frustrazione o insoddisfazione che alcune persone provano dopo aver usato app di dating. Che tra il ripetersi di conversazioni superficiali, il ghosting, la difficoltà nel creare connessioni autentiche o l’impressione di essere solo un’opzione tra tante ci reca fastidio, tristezza, senso di vuoto e frustrazione.

Quindi si perde il focus, si cerca qualcuno ma si dimentica di identificare “cosa” stiamo cercando da quel qualcuno. Oggettivamente non ci si capisce un cazzo. È importante chiederselo, lasciandosi anche un bello spazio per lo stupore che l’altro può regalarci, senza intellettualizzare troppo, fare mind reading o mandare a stendere dopo mezza cosa sbagliata.

In tutta quest’incertezza è normalissimo avere paura di una relazione, basta pensare a quanta fatica si può fare nel trovarla, nell’aprirsi dopo tutto l’affanno e con i traumetti del ghosting e compagnia bella. Però l’amore va vissuto, anche un amore che finisce, altrimenti ci precludiamo una crescita, un’esperienza e un’esposizione a qualcosa che cerchiamo e in cui vogliamo essere.

Chi cerca trova sì, ma guardando anche alle strutture che compongono la ricerca, cercando però di non farle diventare una nuvola nera che oscuri il concetto di bisogno o ricerca d’amore. Il mio terapeuta un giorno, quando cercavo l’amore, mi disse molto semplicemente: “Cercalo, basta che non ti ci accanisci”. E mi trovo d’accordissimo.

Come gestire l’aftersex?

Mitshu

L’aftersex, ovvero il momento immediatamente successivo alla fine di un atto sessuale, può essere un momento particolare. Anzi forse lo è sempre. Il cervello durante il sesso fa una serie di casini, attiva aree, ne disattiva altre, il sistema simpatico e quello parasimpatico danzano, la neurotrasmissione anche. Il sesso fa succedere molte cose. Quando finisce c’è una sorta di rebound, anche e soprattutto emotivo: possiamo sentirci legati, bisognosi di una sigaretta, bisognosi di scrollare Instagram dieci minuti prima di rientrare in contatto con la realtà, oppure di stare abbracciati, dormire, chi lo sa. Ma va saputo. Fa parte del sesso, quindi osservare ciò che ci accade dopo è utile per vivere in modo sicuro anche quella fetta temporale. Per alcune persone la questione è tranquillissima, per altre meno. Possiamo fare due esempi: sex blues e post nut clarity.

Fonte : Wired