Quanto è difficile in Italia creare una legge chiara per normare l’assicurazione contro le catastrofi naturali? Molto. L’allarme del riscaldamento globale è suonato da tempo, ma ora che si fa il conto dei danni da eventi meteo estremi, la necessità di una copertura è evidente. Non solo ai cittadini, che faticano a trovare coperture adeguate o a prezzi accessibili: anche alle imprese, e alle stesse compagnie, visti i danni che gli eventi meteo estremi procurano e l’impatto che hanno.
Da tempo si è provato a mettere una pezza. Così, dal 31 marzo tutte le imprese dovranno, per decreto del governo (entrato in vigore il 14 marzo di quest’anno), sottoscrivere una polizza per tutelarsi dalle catastrofi naturali, sempre più frequenti. Il decreto dà attuazione a una norma presente nella legge di Bilancio 2024. Ma i condizionali sono d’obbligo: rinvii vengono annunciati e sfumano nel nulla nel giro di qualche giorno, in un’incertezza che non favorisce le decisioni di business e non alimenta il clima di fiducia complessivo.
Chi riguarda il decreto del governo e le critiche delle imprese
Allo stato attuale, l’obbligo varrebbe per tutte le società con sede fisica in Italia (ma anche per quelle con sede legale all’estero che operano però con una stabile organizzazione sul territorio nazionale e sono iscritte al Registro delle Imprese).
Critica l’opinione degli imprenditori, la cui voce si era già fatta sentire mesi fa: troppo poco, affermano, il tempo per aderire alle nuove regole. Tanto da spingere per un primo rinvio (già ottenuto e praticamente scaduto) a fine marzo: l’obbligo, infatti, sarebbe dovuto entrare in vigore già tre mesi fa, dal 31 dicembre 2024.
In una recente intervista al Sole24Ore, giornale di Confindustria, il vicepresidente dell’associazione Angelo Camilli aveva chiesto una proroga di altri 90 giorni. Camilli dava voce a uno dei fantasmi che tengono banco negli incubi delle imprese italiane: la prospettiva “che l’azienda priva di copertura non possa più accedere a qualsiasi forma di agevolazione o di incentivo pubblico”. Un’eccezione, al momento, è stata prevista dal governo solo per le imprese della pesca e dell’acquacoltura, che dovranno – però – regolarizzarsi entro la fine dell’anno. Escluse dalla novità sono invece le imprese agricole, che fanno già affidamento al Fondo mutualistico nazionale per la copertura dei danno catastrofali meteoclimatici.
I nodi e il punto di vista delle pmi
Ma la questione è complessa. Se i grandi industriali ragionano così, le piccole e medie imprese, spina dorsale del sistema produttivo italiano, sembrano avere un altro punto di vista. Affidarsi alle compagnie di assicurazione e non a enti statali, parastatali o locali potrebbe essere un vantaggio per le pmi, che non dispongono di grandi risorse. La macchina spesso lenta della burocrazia di fatto rallentava il recupero delle perdite. Contro terremoti, frane, alluvioni, insomma, bisognava solo guardare il cielo e sperare. Le assicurazioni, si augurano i piccoli imprenditori, potrebbero essere più celeri nei risarcimenti. Non va dimenticato, ricordano gli esperti, che siamo un Paese caratterizzato da un dissesto idrogeologico tale che, già a fine 2023, secondo un rapporto del Cresme per Ance, si parlava di una spesa triplicata negli ultimi 13 anni per far fronte ai danni, raggiungendo la cifra monstre di 3,3 miliardi di euro l’anno.
Ricci (Pd): “Norma superficiale: è una tassa occulta”
Ma il campo è ancora più confuso di quanto finora raccontato. A puntare negli ultimi giorni il dito contro l’obbligo dell’assicurazione contro le catastrofi naturali è stata anche l’opposizione, per bocca, per esempio, di Matteo Ricci parlamentare europeo Pd del gruppo S&D: “L’obbligo di stipulare un’assicurazione contro i rischi delle catastrofi naturali è una tassa occulta che pesa su oltre 4 milioni di aziende italiane: va rinviata – scrive sui social Ricci – Tutte le maggiori associazioni imprenditoriali del paese ne hanno denunciato le criticità: la norma è poco chiara e superficiale, non definisce nel dettaglio i fenomeni coperti, non prevede il rimborso dei danni alle merci, né agevolazioni di alcun tipo, penalizzando la competitività delle aziende nelle aree più a rischio. In più, il 22% dei costi di assicurazione va allo Stato, una tassa vera e propria, assolutamente immotivata. Assurdo che chi nega il cambiamento climatico in Italia e in Europa, poi obblighi le imprese a una polizza di questo tipo”.
Il punto di vista delle assicurazioni
E cosa pensano le assicurazioni? Alcune sono favorevoli a uno slittamento di qualche mese dell’obbligo. Posticipare al 30 giugno, come proposto anche da Confindustria, potrebbe essere sufficiente: “Sarebbe importante per la nostra clientela avere più tempo, per poter fornire loro una serie di suggerimenti e chiarimenti soprattutto sui dubbi interpretativi che il decreto attuativo non ha dipanato rispetto al testo di legge – spiega a Wired Giovanni De Marchi, responsabile della direzione Riassicurazione e supporto tecnico rami elementari di Vittoria Assicurazioni -. Questo riguarda, per esempio, la questione del rinnovo di eventuali agevolazioni statali per le imprese: avere stipulato o meno entro il 31 marzo ne pregiudicherebbe l’assegnazione? Non è stato precisato”.
Fonte : Wired