Aneddoti e testimonianze dirette possono essere potenti strumenti di sensibilizzazione. Ma anche una pericolosa fonte di disinformazione, specie se proposti senza filtri, nel farwest dei social media, ad una platea di giovani sempre meno avvezzi a separare il reale dal virtuale. È quello che capita cercando informazioni sul disturbo da deficit di attenzione e iperattività (meglio noto come Adhd) su TikTok, dove stando ad uno studio appena pubblicato su Plos One, la stragrande maggioranza dei video più popolari sull’argomento presentano in modo scorretto i sintomi della malattia, con il rischio di contribuire ad autodiagnosi scorrette, e a una generale rappresentazione errata del disturbo.
“TikTok può essere uno strumento cruciale per diffondere la consapevolezza e ridurre lo stigma, ma ha anche i suoi lati negativi”, spiga Vasileia Karasavva, tra gli autori del nuovo studio. “Aneddoti ed esperienze personali sono certamente potenti, ma non offrono il contesto, e possono portare a incomprensioni sull’Adhd e sui problemi di salute mentale in genere”.
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività è classificato come un disturbo del neurosviluppo, caratterizzato da difficoltà nel concentrarsi e mantenere l’attenzione, iperattività e impulsività. Insorge di norma nell’infanzia, ma i sintomi permangono anche nell’età adulta. È uno dei più comuni disordini dell’età evolutiva, con un’incidenza del 3-4 percento tra i bambini.
È conosciuto da decenni, ma negli ultimi anni le diagnosi sono in netto aumento in tutti i paesi sviluppati, sia in età pediatrica che tra gli adulti. In parte per via di una maggiore sensibilità nei confronti del disturbo, ma inevitabilmente (in particolare nel caso delle diagnosi in età adulta), anche per via di una quota crescente di sovradiagnosi, legata anche ad una conoscenza erronea e frammentaria dei sintomi e delle caratteristiche del disturbo nella popolazione generale.
Perché sempre più bambini sembrano “problematici”
Anche per questo, gli autori del nuovo studio hanno deciso di indagare l’immagine della malattia che emerge su TikTok, una delle piattaforme social più utilizzate, soprattutto tra i giovani. Per farlo hanno organizzato due esperimenti. Nel primo, due psicologi clinici esperti di Adhd hanno valutato i 100 video sul disturbo più popolari su TikTok (con un numero di visualizzazioni totali che raggiungono quasi il mezzo miliardo), valutando le affermazioni sulla malattia in essi contenute alla luce del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (o Dsm-5), lo strumento diagnostico più utilizzato dagli psichiatri di tutto il mondo. In media, meno di metà dei sintomi presentati nei video sono risultati in linea con quelli riconosciuti dai criteri diagnostici ufficiali.
I due psicologi hanno quindi stilato una classifica dei 100 filmati in ordine di attendibilità (espressa in voti da 1 a 5), e i primi e gli ultimi cinque della lista sono stati sottoposti a 843 studenti universitari, a cui è stato chiesto di valutarne a loro volta l’attendibilità. I ricercatori hanno quindi comparato le valutazioni degli specialisti con quelle dei giovani volontari, portando alla luce differenze piuttosto marcate: i voti medi espressi dagli psicologi per i cinque video più accurati sono risultati infatti pari a 3,6, contro una media di appena 2,8 nella valutazione degli studenti; di contro, i cinque meno affidabili per gli psicologi avevano ottenuto un voto medio di 1,1, e salivano invece a una media di 2,3 nei voti degli studenti.
Chiaramente, i risultati mostrano una scollatura tra le valutazioni degli esperti e quelle della popolazione generale che fruisce quotidianamente dei contenuti di TikTok. Analizzando quindi le conoscenze degli studenti sulla malattia, lo studio ha dimostrato che chi di loro vedeva più di frequente video sull’Adhd sul social era anche portato ad esagerare la reale prevalenza del disturbo nella popolazione, e a ritenerla una malattia più debilitante nella vita quotidiana, di quanto non sia realmente nella maggioranza delle persone che ne soffrono.
La disinformazione su Tiktok
Insomma: sembra che cercare informazioni sulla malattia su TikTok, anche quando si visualizzano video girati con le migliori intenzioni, contribuisca in realtà a formarsi un’idea distorta del disturbo, dei suoi sintomi, della sua frequenza e della sua gravità. Come sempre quando parliamo di internet, sarebbe doveroso ricordarsi di fare riferimento a fonti attendibili – come le pagine di università e istituti di ricerca – e di prendere con le pinze tutto il resto. A maggior ragione se parliamo di problemi gravi, ma difficili da caratterizzare e diagnosticare, come quelli psichiatrici.
“Alcuni giovani adulti fanno riferimento a TikTok perché hanno difficoltà nell’accesso a fonti più affidabili, o perché hanno esperienze negative pregresse con i professionisti della salute mentale”, conclude Amori Mikami, professore di psicologia della University of British Columbia che ha coordinato la ricerca. “È quindi anche una nostra responsabilità colmare questi gap nell’accesso equo ad un’assistenza psicologica di qualità”.
Fonte : Today