Gazebo Penguins, l’album Temporale: “La nostra musica nasce in un altrove”

Chitarre selvagge e neuroscienza, bassi belligeranti e filosofia della mente, sonorità prepotenti che incalzano teorie nietschiane. Parlare del cervello umano facendo musica impetuosa e liberatoria: un’idea impossibile, assurda, quasi folle.

E invece no: basta solo pensarlo, volerlo e avere il coraggio di farlo.

Basta essere i Gazebo Penguins con il loro Temporale, il nuovo album. La band va orgogliosamente e ferocemente controcorrente, alla ricerca di quelle sfumature che aggiungono valore e autenticità alla vita, per poi sbattercele con forza addosso. Li ho incontrati in studio a Correggio.

Partiamo dalla storia di Temporale e dall’idea di parlare del cervello quando tutto intorno a noi ci spinge ad anestetizzarlo. Quando è nato? È stato una urgenza creativa o un flusso di pensieri stratificato nel tempo?

Il disco nasce durante l’ultimo tour che risale al 2023/24 e raccontava il progetto Quanto che era più declinato su storie nostre narrate attraverso la fisica quantistica. Durante il tour abbiamo visto generazioni diverse che ci hanno fatto salire la voglia di fare canzoni nuove. Anche quell’album era complesso ma non irraggiungibile per i giovani. Come sfida creativa abbiamo scelto di darci qualche limite per incentivare la creatività, come la scuola di letteratura potenziale di Italo Calvivo. Ci sono sonorità lontane da noi come quelle degli anni Ottanta ma nel complesso abbiamo seguito le direttive che ci siamo dati a priori.

Il sovra-pensiero che descrivete nel brano Gestalt è un luogo di non ritorno oppure è solo rientrando nella nostra identità che comprendiamo meglio chi siamo?

È un continuo ritorno, parte da un episodio narrativo-biografico, dopo un concerto la testa si stacca e hai la percezione di essere quasi arrivato, e ti ritrovi a casa. Lì abbiamo parlato di identità, cosa ci rende la stessa persona che eravamo ieri? Cosa ci rende una persona anche se non guidiamo il nostro vivere?

Gestalt come terapia ha tra i suoi fondamenti l’Hic et Nunc: il qui e ora lo sentite un elemento concreto di voi?

Siamo una band costantemente fuori moda per alcuni, considera che il nostro primo disco è uscito nel 2009. Ci segue un’aura da gruppo cult nella nostra cerchia di fan. Noi ci siamo ma il nostro percorso va avanti a prescindere dalle mode. Non ci vergogniamo di nessuna canzone della nostra storia, anzi siamo orgogliosi di ogni canzone che abbiamo creato. Il live è il nostro hic et nunc.

Mnemosyne rappresenta il potere di ricordare ed è la mamma delle muse, eppure nel testo dite “se non ricordo chissà chi diventerò”: siamo parenti di una memoria fallace, del “senza memoria è come non vedersi”?

È affascinante parlare di memoria. Da una parte c’è l’oblio del passato, dall’altro la perdita della memoria a breve termine per una lesione, quando non hai la possibiltà di progettare e pensare al futuro. È il nessuno che emerge, è la stratificazione dei ricordi di Locke. C’è anche la fragilità del concetto di identità che ci affascina, per altro il disco può essere un inno alla fragilità.

Quasi è fallimento o essere a un passo dall’obiettivo? È essere più “quasi perso o quasi ritrovato”?

Anche lì va in base alla percezione di ognuno. Parte da una intuizione letteraria, il quasi non esiste nella realtà. La realtà è o si o no. La nostra testa opera una separazione e per ritrovarci la adotta la nostra testa.

Inospitale parla dell’avere il nostro posto nel mondo: è così rischioso andare sul sicuro?

Oggi abbiamo esperienze che portano a non volere rischiare. È  anche una questione di tempo, il concetto di quasi è tempo. Non possiamo imparare una lingua nuova in dieci minuti, un libro ha il suo tempo di lettura, per fare un esempio, i limiti si manifestano quando accadono cose che non vorremmo. Il quesito è siamo il nostro cervello o c’è un io superiore?

Sempre in Inospitale partono all’improvviso le chitarre elettriche, mi ha ricordato il My Way di Syd Vicious: musicalmente e armonicamente come avete lavorato a Temporale?

È l’unico brano per cui non abbiamo fatto prove prima di andare in studio. Tutto nasce davanti al mixer e al pc. Ci piace partire lenti che poi quando uno alza il volume sente il brano esplodere. Uno studio dove sedimentare le idee, creare l’eterogenità, certi giorni ci sentiamo come i Beatles ad Abby Road: predestinati per sperimentare.

Perché in Delle Mie Brame avete lasciato lo specchio fuori dal titolo, che in realtà è il vero protagonista del testo?

Il vocabolo “specchio” compariva troppe volte nel testo e quindi non è andato nel titolo. Abbiamo spostato le parole in alcuni casi per una questione anti-musicale ma poi abbiamo trovato la quadra.

“Vedersi è una follia come non comparire quando sei riflesso”: che rapporto avete con le entità che popolano altri mondi? Anche loro posso portarci dove non vogliamo, come un cervello che agisce di sua volontà?

Più che il sovrannaturale ci affascinano scrittori come Lovecraft. La fascinazione viene dal cosmo, dagli alieni. C’è un libro che si intitila Il Crollo della mente Bicamerale e l’origine della Coscienza: in tutte le grandi civiltà prima di Cristo l’emisfero destro parlava ma non c’era la coscienza creata nell’umanità. Chi parla all’orecchio di Achille? Il codice di Hammurabi dice che parlando nell’orecchio del re arrivano allucinazioni uditive. Il sentimento religioso è un malfunzionamento di uno dei nostri emisferi, porta il sovrannaturale nell’alveo delle nostre possibilità.

In Brain Damage i Pink Floyd cantavano “lunatic is in my head”: è così? E ci vediamo comunque in the dark side of the moon?

In studio ci sono momenti dove siamo altrove, ci diamo risposte spropositate per un colpo di charleston sbagliato. Siamo assorbiti da quello che facciamo e diventiamo altro: è fortissimo il concetto di alterità. Prendi la schizofrenia: la testa parla e crediamo che le voci vengano da fuori ma il pazzo non lo sa.

Alla fine vi siete dati una risposta alla domanda se possediamo un cervello o lui possiede noi? La testa è messa a posto?

Assolutamente no. Questo disco è lanciare domande per gettare curiosità. Il curioso è affannato dalla ricerca, dopo 20 anni che suoni è scoraggiante cercare risposte, è più affascinante fare domande per disordinare la tua vita e quella degli altri. la complessità del disco nasce perché la sua vita ci accompagni per un po’ di tempo con tutti i suoi risvolti.

Che accadrà nelle prossime settimane? Parte il progetto live?

Con Quanto il primo ascolto fu dal vivo. Poi arrivavano gli altri brani. L’obiettivo live è creare un concerto omogeno, dunque il disco nuovo in sequenza senza pausa, e poi la nostra storia. Per la seconda parte riarrangiamo e c’è sempre il foglio delle canzoni escluse che ci fa litigare tra noi. Ma quello che non ci neghiamo sono i tempi di improvvisazione.

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Fonte : Sky Tg24