La voce del padrone, il verbo pop di Franco Battiato

Sono passati quattro anni dalla morte di Franco Battiato. L’artista catanese, che oggi avrebbe compiuto 80 anni, ha lasciato un’eredità musicale immensa. In 50 anni di carriera ha esplorato la musica leggera, il rock progressivo, l’avanguardia, la musica sacra, la classica e, naturalmente il pop, però rivisto sotto la sua personalissima ottica. Nel 1979 con L’era del cinghiale bianco, Battiato abbandona il percorso della sperimentazione e inizia ad esplorare la new wave. Un percorso che continua con l’album successivo, Patriots del 1980 e raggiunge il suo culmine, artistico e di successo nel 1981 con La voce del padrone.

La genesi

Prima di diventare il profeta del pop colto, Battiato era un mistico elettronico che sperimentava con sintetizzatori e drone music. Poi, un giorno, si è svegliato e ha deciso che avrebbe portato la filosofia nei juke-box. All’inizio degli anni 80 il cantautore siciliano è un cavaliere cosmico che dopo Patriots si chiude in un bunker sonoro con il solito manipolo di alchimisti e qualche nuova recluta per forgiare questo disco che avrebbe ribaltato le sorti del pop italiano. Nella cantina-studio dove viene partorito La voce del padrone, tra un banco effetti minimale e uno Studer 24, si respira un’aria quasi monastica: niente notti folli, niente eccessi da rockstar, Battiato lavora come un orologiaio zen e alle 19:15 è sempre a casa per cena.

La prima versione dell’album nasce sotto il segno della drum machine Roland 808, che però suona come un tostapane difettoso. A fianco di Battiato, c’è un grande chitarrista, Alberto Radius, che aveva già collaborato con il catanese e che arruola Alfredo Golino per dare un’anima di carne e ossa alle percussioni. A completare l’incantesimo, il coro dei Madrigalisti di Milano, chiamato a sostituire i coristi della RAI, troppo impacciati per stare dietro alle visioni ritmiche di Battiato.

La voce del Padrone, un viaggio nell’anima di Franco Battiato

Il successo

Il 21 settembre 1981 il disco arriva nei negozi, ma ci mette qualche mese a esplodere. Poi è apoteosi: il pubblico si accorge che quello strano cantautore-filosofo ha creato un capolavoro, e La voce del padrone si arrampica in classifica come un fachiro sul chiodato palo del successo. Nel 1982 Battiato riempie palasport e stadi, l’Italia intera canta Bandiera Bianca, Cuccurucucù e Centro di gravità permanente, senza nemmeno sapere bene cosa significhino.

Nel frattempo, il disco sbarca in Francia, Germania, Spagna e oltre. È il primo LP italiano a superare il milione di copie vendute. Battiato lo aveva detto: “Questo disco avrà successo”. Lo aveva deciso. Lo aveva progettato. Lo aveva plasmato con la scienza dell’assurdo. E aveva vinto.

Anatomia di un capolavoro: le canzoni

Sette tracce, la misura perfetta. Battiato tesse un labirinto di citazioni, giochi di parole e incastri semantici che appaiono come nonsense ma sono in realtà formule per risvegliare coscienze. La sua voce, frutto degli studi sulla lingua araba, penetra nell’etere con una purezza che fa sparire la concorrenza.

L’album apre con Summer on a solitary Beach, un sogno balneare: pianoforti languidi, sintetizzatori che si spalmano come crema solare. Un’estate distorta, un loop ipnotico che non è mai banale. Bandiera bianca segue con un’ironia tagliente e citazioni da Dylan ai Doors: un’invettiva contro la resa degli ideali alla cultura di massa, un inno senza tempo.

Gli uccelli ci trascina nell’iperuranio, una melodia che diventa mantra, un viaggio tra teosofia e Gurdjieff, in cui l’ascoltatore si abbandona a una fluttuazione cosmica. In Cuccurucucù Battiato si diverte a mescolare riferimenti musicali e letterari, da Méndez ai Beatles, rendendo la nostalgia tropicale un test di cultura musicale travestito da pop.

Segnali di vita è una riflessione sull’esistenza, un mantra mistico accompagnato da un ritmo pulsante, mentre Centro di gravità permanente diventa l’inno del desiderio di equilibrio in un mondo privo di punti di riferimento. Il pezzo pop perfetto, con un beat che entra nel DNA. Il disco si chiude con Sentimiento nuevo, dove sensualità e spiritualità si fondono in un brano che ci suggerisce che il sesso è un’esperienza mistica senza dirlo esplicitamente, lasciandoci sospesi tra cielo e terra.

“La casa di Franco Battiato diventerà un bene culturale tutelato”

Cosa resta oggi di Battiato?

Ogni volta che ascolti un artista che gioca con i generi, che infila citazioni improbabili in un pezzo pop, che osa mescolare cultura alta e bassa senza chiedere permesso, c’è un pezzo de La voce del padrone lì dentro. Prima di Battiato, o eri cantautore impegnato o facevi musica leggera. Lui mescola tutto: il sacro e il profano, il rock e il bel canto, il cabaret e la filosofia. Senza di lui, niente Subsonica, niente Baustelle, niente Bluvertigo, e forse nemmeno certe sperimentazioni di Vasco.

Il fatto è che, più di quarant’anni dopo, l’album suona ancora modernissimo. Come se il tempo fosse davvero quell’elastico che si allunga e si accorcia a piacimento. E se oggi Franco fosse qui, probabilmente sorriderebbe vedendoci ancora qui, a cercare il nostro centro di gravità permanente.

Autore: Franco Battiato
Titolo: La Voce Del Padrone
Genere: Pop
Anno: 1981 (Emi Italiana)
Voto redazione: 8/10 

Fonte : Today