AGI – Credo dunque sono. Pare miri a questo la bellezza che risplende in Vaticano: portare il pellegrino a “sentire” e affermare la propria fede senza soffocarla coi lacci della ragione. Stando a una concezione dell’arte, il bello dà forma al divino. E la basilica pietrina lascia il pellegrino davvero stupito, la bellezza può essere un favoloso tappeto volante per trasportare l’anima oltre. Nella chiesa, la Confessione (e la tomba di Pietro) è una delle mete da raggiungere.
Percorrendo la navata centrale, l’opera si trova nella cavità sotto al Baldacchino, mentre in alto svetta la cupola michelangiolesca dove sono riportate le parole di Gesù all’apostolo: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa, tue sono le chiavi del Regno dei Cieli”.
Ogni elemento del quadro artistico è al suo posto, come in una costellazione: in basso si trova la Confessione, al centro l’altare papale e sopra la dichiarazione “celeste”. Dal Cielo alla terra. Il senso profondo della Confessione viene da lontano, dalla tradizione ebraica. I nostri “fratelli maggiori” (come li definì papa Wojtyla) la festeggiano con lo Yom Kippur (Festa dell’Espiazione). Nel tempio, il sommo sacerdote pronunciava il nome di Dio riversando simbolicamente i peccati della comunità su un capro (detto espiatorio) mandato a morire nel deserto. Un altro stesso animale veniva invece sgozzato e sacrificato al Signore. Come spiega il catechismo, nel cristianesimo il capro espiatorio è Cristo incarnato: si è fatto crocifiggere per la salvezza di tutti.
Inoltre, c’è un elemento al quale la Chiesa raccomanda di prestare particolare attenzione. La trasgressione biblica che procurò la cacciata dall’Eden di Adamo ed Eva ha lasciato nell’animo umano una ferita sempre aperta, la tendenza al male. È quasi un marchio, uno stigma, un segno di riconoscimento che spiega la vulnerabilità di ciascuno a pensare e agire in modo sconveniente. Perciò la religione mette in guardia: la continua manifestazione negativa rischia di vanificare il sacrificio di Cristo. Sarebbe come un vaccino che smettesse di proteggere da un virus perché non si fanno più dosi di richiamo. Allora qual è il rimedio? È un rito.
La Chiesa lo ripete ogni anno proprio perché non si disperdano le energie salvifiche di Cristo. Consiste nel (ri)professare la propria fede la notte di Pasqua, alla Festa della Luce. In quell’occasione il sacerdote celebra la Resurrezione di Gesù, battezza i nuovi cristiani e domanda a chi lo è già di ribadire l’impegno assunto (dai suoi genitori) con il primo sacramento, il Battesimo. Riaffermare il proprio Credo serve a tenere viva la fiamma della fede. E non è un caso se modi e tempo stabiliti per la celebrazione siano una veglia nelle ore notturne. Un’altra metafora: senza Cristo sugli uomini calerebbe il buio.
Fonte : Agi