Meta, lo storico patteggiamento sull’uso dei dati personali per la pubblicità

Quanto ai presupposti giuridici dell’azione, come si diceva O’Carroll ha invocato il Gdpr britannico, che per gli esperti è molto simile a quello europeo. In passato l’attivista aveva provato a rimuovere manualmente alcune categorie sotto cui era stata inserita dal proprio account Facebook (è possibile farlo): magra consolazion, perché qualche tempo dopo aveva scoperto di essere stata schedata sotto termini affini e così poco distanti dagli originali da rendere il risultato finale praticamente indistinguibile. Insomma, non se ne esce.

L’accordo

Così, nel 2022 tenta la carte di una corte britannica. La svolta arriva giovedì 20 marzo (ma la notizia è stata diffusa solo il 22). A pochi giorni dal processo, che sarebbe dovuto cominciare il 24 marzo, Meta ha accettato di patteggiare, promettendo di interrompere la pubblicità mirata. I termini del patteggiamento non sono stati diffusi per ragioni di riservatezza. Ma c’è una dichiarazione concordata che O’Carroll ha rilasciato. “Le parti hanno concordato congiuntamente di concludere il caso. Nel 2021, ho scritto a Meta dichiarando di voler esercitare il mio diritto di opposizione ai sensi dell’articolo 21 (2) del Gdpr del Regno Unito a qualsiasi trattamento dei miei dati personali (inclusa la profilazione) per finalità di marketing diretto su Facebook. Accettando di concludere il caso, Meta Platforms, Inc. ha accettato di non mostrarmi pubblicità di marketing diretto su Facebook, di non trattare i miei dati per finalità di marketing diretto e di non effettuare tali trattamenti (inclusa la profilazione) nella misura in cui siano correlati a tale marketing diretto”.

Fin qui quanto concordato. O’Carroll ha poi commentato con entusiasmo con una dichiarazione personale. “Questo accordo rappresenta non solo una vittoria per me, ma per chiunque tenga al proprio fondamentale diritto alla privacy. Nessuno di noi ha accettato di essere intrappolato in decenni di pubblicità basata sulla sorveglianza, tenuto in ostaggio dalla minaccia di perdere la possibilità di connettersi con i propri cari online”. “Finalmente, questo dimostra che tutti abbiamo il diritto di accedere ai social media senza dover pagare con livelli invasivi di dati personali”.

Secondo lo staff dell’attivista, “l’autorità di regolamentazione del Regno Unito ha preso parte in modo raro alla causa, sostenendo pubblicamente la posizione della signora O’Carroll e indicando il potenziale del caso per aprire la strada al diritto di opposizione per altri”.

O’Carroll è rappresentata da Ravi Naik, avvocato dello studio Awo di Londra.  “Questa è stata una causa combattuta duramente”, ha dichiarato Naik. “La mia cliente ha ottenuto ciò che voleva; si è opposta all’uso dei suoi dati per fini pubblicitari. Questo accordo lo garantisce. I diritti devono essere adeguatamente tutelati, affinché tutti, non solo chi ha i mezzi per intentare cause legali, possano riprendere il controllo dei propri dati”.

Non è un buon momento per la società americana proprietaria del noto social network Facebook, ma anche di Instagram e Whatsapp, tra cui esistono peraltro sinergie. A febbraio, 5.000 persone hanno presentato reclami in diversi paesi europei contro Meta, come ha dichiarato la ong Eko. Nei giorni scorsi un’ex dipendente di Facebook, Sarah Wynn-Williams, ha pubblicato un memoir sulla sua esperienza nella società di Zuckerberg, in cui denuncia pratiche disinvolte da parte della società sui dati. Il vento, per Big Tech, potrebbe essere davvero cambiato. Almeno in Europa.

Fonte : Wired