A Different Man recensione: un film potente e sconvolgente

Con A Different Man, il nuovo film diretto da Aaron Schimberg, con Sebastian Stan e Adam Pearson al suo centro, la A24 conferma ancora una volta la propria forza visionaria, portando alla luce un racconto dalle dimensioni “ridotte” ma dalla forza indiscussa oltre la finzione. Si torna all’amarezza spiazzante di una casa di produzione che sta continuando a confermarsi come modello e apripista in un settore che non osa poi così tanto, prendendo in esame non solamente la società stessa, in questo caso, ma l’indole umana in tutte le sue sfumature, anche quelle sottocutanee.

L’indagine di A Different Man è chiara fin da subito, ma anche complessa nel suo porsi agli spettatori al cinema. Partendo dal trauma esterno di un protagonista specifico, il film ne studia innanzitutto l’identità psicologica e l’indole emotiva. Nell’intimità di un uomo che non si sente allineato col resto del mondo, si muovono i moti profondi di un’esperienza narrativa molto più sottile di quanto non sembri e non ci si possa aspettare. Così si passa dal colpo d’occhio estetico e superficiale, ai tormenti di una lesione che continua a lacerare in profondità, mettendo al centro l’uomo inteso come essere imperfetto e insicuro, prima ancora che tutto il resto.

Essere e non essere

A Different Man ci trasporta nella vita di Edward (un Sebastian Stan che quest’anno ha fatto la storia dei premi), un giovane uomo il cui sogno sarebbe quello di diventare un attore. Una strada sicuramente difficile per chiunque, resa ancor più complessa dall’estetica di un artista che deve mettere da parte l’espressività facciale, dato che è affetto da Neurofibromatosi di tipo 1. Questa malattia ha progressivamente deformato il suo volto rendendogli la vita ancor più difficile e alienata. Una dinamica del genere, ovviamente, riflette subito sulla freddezza di una società attuale che non ingloba ma esclude, etichettando e dimenticando.

Così Edward si trova costretto ad accettare lavori artistici di poco conto, trovando conforto temporaneo nella sua nuova vicina di casa Ingrid (Renate Reinsve), una scrittrice di opere teatrali che scorge subito in lui qualcosa d’interessante, avvicinandosi senza alcun problema e senza giudicarlo, differentemente da tutti gli altri. Sarà proprio questo rapporto di attrazione alla “ragazza della porta accanto” la spinta per il protagonista di A Different Man a prendere parte a una sorta di trattamento sperimentale che promette di trasformagli il volto eliminando la malattia.

Una faccia nuova e tantissime possibilità si aprono davanti al nostro Edward che sceglie la via dell’inaspettato e della rinascita, per poi tornare nella vita di una Ingrid che non lo riconosce, ovviamente, impegnata a realizzare la sua pièce, e portando il nostro verso un conflitto e tormento personali del tutto inattesi, anche dopo la svolta che attendeva da una vita.

Le ombre di una città, le ombre di un uomo

La primissima cosa che salta all’occhio durante la visione di A Different Man è proprio il contesto in cui il racconto si muove e si sviluppa. La New York portata sul grande schermo da Aaron Schimberg e fotografata da Wyatt Garfield è piuttosto scura e opprimente, ma anche elegante nel suo porsi, e in qualche modo comicamente amara. Le geometrie dei palazzi e dei loro interni rimandano agli stessi crucci interiori di Edward, proiettandone esteticamente l’essenza in un viaggio in cui sono le ombre della metropoli ad anticipare i momenti più forti. In ciò risulta impossibile non riflettere, anche solo per un secondo, sul concetto di identità intesa anche e soprattutto come lettura di sé a contatto con tutto il resto.

È vero che con la cura sperimentale Edward cambia drasticamente la propria esistenza, ma… in fin dei conti resta sempre se stesso, resta sempre lui la persona, l’entità che abita e vive dietro alla nuova faccia, che ora gli apre porte e rapporti differenti con il prossimo. In tutto ciò risulta fondamentale l’interpretazione di Adam Pearson: il suo Oswald è l’elemento cardine di una riflessione prima di tutto psicologica e poi concettuale. Non è tanto l’estetica a cambiare le cose, quanto il modo in cui ci si percepisce a contatto con l’esistenza. A nulla vale, quindi, la metamorfosi e la bellezza immediata, se dietro alla maschera resta vigile la persona traumatizzata che ha fatto del rifiuto una costante della propria esistenza.

Dal rigetto alla dipendenza emotiva verso l’accettazione. Edward, pur se trasformato, si trascina dietro tutti i traumi e gli irrisolti che aveva in precedenza, si evolve solo all’esterno, restando la persona che era, e questo influirà irrimediabilmente sulla sua stessa vita che, in qualche modo, è identica a prima. Ecco uno dei tratti più interessanti di A Different Man, che non solo mette in luce le ipocrisie della nostra società e contemporaneità a contatto “con il diverso”, ma anche le incoerenze intime dell’essere umano, che vuole essere accettato a tutti i costi senza fare i conti con ciò che si porta dentro.

Essere oltre le cose e le persone e lavorare su ciò che siamo e siamo diventati. A Different Man ci trasporta nella vita di un attore problematico che si trasforma per rispondere ai canoni ipocriti di una società sbagliata e deviata dalla noncuranza altrui. Nel viaggio oscuro di un protagonista che cerca in tutti i modi di emergere e arrivare alla luce, è la sua stessa individualità a essere messa sotto analisi, in un processo che non si fa problemi ad andare in profondità, estraendone l’essenza e mettendone a nudo limiti e insicurezze.

L’interpretazione di Sebastian Stan conferma nuovamente tutto il valore di un attore in grado di trasformarsi senza limiti, abbracciando le nevrosi di un personaggio principale sfaccettato, complesso e costantemente raggomitolato su se stesso, chiuso agli sguardi di un mondo malsano. Passando per una regia dai tratti geometrici e claustrofobici, veniamo quindi trasportati in una vicenda che supera irrimediabilmente i limiti del grande schermo, chiedendo allo stesso pubblico un giudizio che, molto probabilmente, non sarà mai del tutto univoco.

Fonte : Everyeye