Tanto vale togliersi subito il dente: Assassin’s Creed: Shadows non ha avuto una gestazione facile, sia perché Ubisoft non sta navigando in bellissime acque dopo alcune scelte infelici in un periodo storico particolarmente complesso per i videogiochi, sia per alcuni ritardi e alcune scelte di marketing del gioco non sempre azzeccate. Questo senza contare l’ondata di polemiche scatenata dalla scelta di creare un gioco sul Giappone in cui uno dei due personaggi giocabili è la figura storica (pur con tutte le sue zone d’ombra) di Yasuke, presunto primo samurai di colore agli ordini di Oda Nobunaga. E mettiamoci pure che Assassin’s Creed è una saga che mostra comunque una certa stanchezza inevitabile dopo anni e anni di giochi, stanchezza che il capitolo precedente, pur cercando di tornare alle origini, non aveva dissipato.
Shadows doveva rispondere a tutto questo e portarsi sulle spalle la rinascita di Ubisoft. Il modesto parere di chi vi scrive è che ci sia ampiamente riuscito. Forse non basterà a evitare che prima o poi l’azienda francese venga acquisita, ma è senza dubbio uno dei capitoli migliori e più articolati della saga degli assassini ed è uno dei giochi da avere quest’anno.
Già prima di cominciare arrivano le sorprese: con questo capitolo debutta l’Animus Hub, ovvero un portale che permette di accedere ai precedenti capitoli della saga, se sono installati o disponibili in cloud gaming, e di collezionare risorse, curiosità e video sulle varie ambientazioni, sbloccando costumi e altre risorse ottenibili con missioni periodiche.
Assassin’s Creed: Shadows si svolge in un contesto storico molto amato e raccontato, il Giappone feudale ai tempi di Oda Nobunaga, ovvero nella seconda metà del XVI secolo, un periodo in cui i contatti con l’Occidente, soprattutto con i portoghesi, si fecero intensi e che in qualche modo ci riporta con la mente a tutta quell’iconografia del Giappone storico che abbiamo imparato a conoscere e amare con i film di Kurosawa o con serie TV come Shogun.
La prima cosa da dire è che il gioco è molto più incentrato sulla protagonista femminile, Naoe, la kunoichi (ovvero un ninja donna), che dovrà vivere la propria storia di vendetta e uccidere una serie di bersagli sempre più difficili da scovare e isolare, come vuole la tradizione.
Certo, anche Yasuke avrà i suoi momenti, ma per quanto il suo sia un punto di vista interessante, è relegato più a figura di supporto, che si inserisce ogni tanto nella trama per dare una narrazione e uno stile di gioco differente.
Se infatti Naoe si basa molto su agilità e sorpresa, può arrampicarsi facilmente e ha un gameplay più simile agli assassini che già conosciamo, Yasuke ha uno stile di combattimento molto più potente, oltre a poter usare un arco, ed è più diretto, facendo molto più rumore quando si muove.
Questa differenza si nota facilmente in quelle missioni che si possono affrontare con entrambi i personaggi, soprattutto quando il gioco allarga il suo punto di vista, permettendoci di scegliere tra i due e aumentando le missioni non strettamente legate alla trama principale.
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Ma non è l’unico cambiamento che dovremo affrontare: questo capitolo introduce anche le stagioni, che oltre a cambiare il gioco dal punto di vista visivo, introducono dei cambiamenti nel modo in cui dovremo muoverci nell’ambiente.
Ad esempio, d’estate le persone staranno più all’aperto e meno nei palazzi o nelle case; d’inverno l’acqua potrebbe ghiacciare e muovendoci su un tetto potremmo far cadere della neve, allertando una guardia. D’estate è possibile che alcuni cespugli siano secchi e quindi non ci si possa nascondere al loro interno. Sono piccole differenze, ma contribuiscono a rendere il tutto più vario e interessante, costringendoci a un approccio più fluido a ogni problema.
Per il resto, ci troviamo di fronte a un classico Assassin’s Creed recente, che si inserisce nel filone inaugurato con Origins, quindi una mappa ampia, equipaggiamento che modifica le statistiche, vari tipi di armi differenti, le consuete torri da scalare e risorse da raccogliere per potenziare e abbellire il nostro quartier generale. Se speravate fosse finita l’era in cui bisognava liberare gli avamposti per ottenere punti esperienza e risorse utili, mi spiace: sotto questo punto di vista, niente di nuovo dall’Oriente.
Anche perché le risorse sono fondamentali per sbloccare alcuni bonus, come un armaiolo e delle spie con cui investigare i luoghi delle missioni principali e localizzare più facilmente l’obiettivo. Sotto questo aspetto il gioco non offre moltissima varietà rispetto al passato e il mondo resta, tutto sommato, un parco giochi in cui muoversi senza che l’ambiente attorno si preoccupi più di tanto della nostra presenza, se non quando siamo in aree sorvegliate o quando la trama lo richiede.
Manca la voglia di fare quel passo in più e legare in maniera più salda gioco e trama. Se mi stai raccontando di un mondo in cui piano piano troviamo alleati e liberiamo avamposti, non è possibile che poi, tornando là, ritroviamo le stesse guardie. Sono scelte classiche, senza dubbio; altri forse le definirebbero pigre.
Il mondo di gioco è grande, ma non soverchiante, con nove prefetture da esplorare, ognuna con i suoi luoghi storici, le sue particolarità culturali e il proprio carattere. Ci è parsa dunque della dimensione giusta per offrire tanto, ma non troppo. Quello che non manca, invece, sono i panorami. Non che la serie sia parca di vedute, ma questo capitolo riempie veramente gli occhi e il cuore con mille dettagli: la vita delle persone comuni, gli animali che si muovono per le strade e nei boschi, gli scorci di normalità, la bellezza di ritrarre un animale con la tecnica sumi-e. C’è veramente tanta cultura e tanta cura nella creazione di questo mondo. Speriamo che in seguito venga introdotta la modalità Discovery Tour, perché se ne sente francamente la mancanza.
Un altro aspetto interessante di come Shadows decide di raccontarci la storia sono i Kuji-Kiri, ovvero dei luoghi in cui Naoe può meditare per ricordare il suo passato, che rivivremo in prima persona. Un’ottima soluzione per dare maggiori informazioni a chi apprezza l’idea di tuffarsi nel background dei protagonisti, lasciando però liberi gli altri di avere un approccio più diretto.
Assassin’s Creed: Shadows è un gioco che cambia tante cose, piccole e grandi, nella saga, tanto che è legittimo definirlo senza dubbio un passo avanti e un miglioramento di meccaniche già rodate. Non è però quel colpo di reni rivoluzionario che poteva traghettare il franchise per tanti altri anni. Non fraintendetemi: è probabilmente uno dei capitoli più belli della saga e ci sta che riporti a indossare la lama celata molte persone che si erano stancate, ma resta comunque nelle acque sicure, in quelle meccaniche che conosciamo. Per alcuni, un ritorno a casa; per altri, qualcosa di ormai stantio. E questa sensazione si nota ancora di più con un’ambientazione abusata e raccontata come il Giappone feudale, soprattutto perché negli anni molti giochi hanno cercato di anticipare Ubisoft. I paragoni con Ghost of Tsushima e altri titoli simili si sprecano.
Ma al di là di tutto, finalmente, dopo anni e anni, abbiamo il nostro Assassin’s Creed nel Giappone ed è onestamente un gran bel giocare. Per fortuna, non il disastro che molti temevano (e che qualcuno, sotto sotto, sperava che fosse), ma un’affascinante storia di sangue, vendetta, spiritualità e morte dai tetti che vi terrà occupati per ore.
Fonte : Repubblica