Moussa Sangare ritratta: “Non ho ucciso io Sharon Verzeni. Non ci sono prove: l’assassino mi ha visto”

“Non ci sono ancora prove che mi fanno colpevole su quel fatto”. Davanti alla corte d’Assise di Bergamo, il 30enne Moussa Sangare, imputato per l’omicidio dell’estetista Sharon Verzeni, ha ritrattato le sue tre precedenti confessioni. La 33enne è stata uccisa a Terno d’Isola nella notte tra il 29 e il 30 luglio. Ora Sangare sostiene di essere stato solo un testimone dell’assassinio: “Questa persona mi ha visto”, ha detto in aula facendo riferimento a una presunta terza persona.

La ricostruzione di Sangare

In occasione della seconda udienza del processo sul caso Verzeni, Sangare ha preso di nuovo la parola per dare una versione dei fatti che contrasterebbe con le sue tre confessioni e con quanto ricostruito dagli inquirenti. Il suo racconto sembra seguire la prima versione fornita ai carabinieri. In caserma, prima di crollare, il 30enne aveva riferito di aver assistito all’omicidio. Poi aveva confessato. Sul coltello, che avrebbe nascosto vicino alle rive dell’Adda, Sangare dice ora che lo usava “per il barbecue”. E sul perché fosse scappato in bicicletta dichiara che era spaventato pensando si trattasse di un fatto di “droga o qualcosa di più grave”. Sostiene inoltre di aver subìto pressioni dai militari: “La versione è quella che sono scappato. Ma loro continuavano a spingermi, spingermi, spingermi”. L’intervento dell’imputato non era previsto per oggi, 17 marzo. Nell’udienza si doveva affidare l’incarico per la perizia psichiatrica che potrebbe evitargli l’ergastolo.

L’omicidio

L’omicidio di Sharon Verzeni ha sconvolto la comunità di Terno d’Isola sia per l’eccezionalità della vittima, una ragazza normale, sia per le ricerche dell’assassino che sono andate avanti per circa un mese. La donna infatti è stata uccisa con quattro coltellate al petto e alla schiena durante una delle sue abituali passeggiate serali. Il compagno Sergio Ruocco, su cui all’inizio si erano concentrati i sospetti, si era subito dimostrato collaborativo e non era emerso alcun indizio contro di lui.

Le indagini

Gli investigatori, grazie alle immagini delle telecamere di videosorveglianza e a dei testimoni chiave, erano però riusciti a risalire a Sangare. “Non so perché l’ho fatto, quella sera ero uscito di casa con un forte impulso di uccidere”, sono state le parole pronunciate da Sangare davanti agli inquirenti durante la confessione. Dopo il delitto, Sangare avrebbe tagliato le treccine ai capelli e modificato la bici. Mentre il coltello usato per uccidere Sharon sarà ritrovato alcuni giorni dopo il fermo, seppellito lungo le sponde del fiume Adda, dove il giovane avrebbe voluto tenerlo come “souvenir” di quanto accaduto. Da più di sette mesi il presunto omicida è detenuto nel carcere milanese di San Vittore.

Fonte : Today