Gaza, centinaia di morti nei raid notturni israeliani. Quale futuro per la tregua?

Israele ha lanciato una massiccia offensiva aerea su Gaza, ponendo fine alla fragile tregua in vigore dal 19 gennaio. Secondo testimoni, oltre venti caccia israeliani hanno sorvolato l’area intorno alle 2 del mattino di martedì, durante il pasto pre-alba del Ramadan. Il ministero della Salute della Striscia riferisce che il bilancio delle vittime palestinesi ha già superato le 300 persone, tra cui avrebbe perso la vita anche Issam Da’alis, premier del governo di Hamas a Gaza. I bombardamenti si sono concentrati principalmente sulle città di Gaza, Rafah e Khan Younis. L’operazione militare arriva dopo settimane di negoziati falliti per il rilascio degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. L’ufficio del primo ministro Netanyahu ha dichiarato che Israele intensificherà ulteriormente la potenza delle operazioni militari contro Hamas nei prossimi giorni.

Gaza, il fallimento diplomatico

La decisione di riprendere i bombardamenti è stata presa dal primo ministro Benjamin Netanyahu e dal ministro della Difesa Israel Katz in seguito al mancato accordo sul rilascio degli ostaggi israeliani. Due funzionari israeliani hanno confermato al sito Axios che l’amministrazione Trump era stata informata in anticipo dell’imminente operazione militare. Il piano operativo era stato preparato dall’esercito israeliano nel fine settimana e successivamente approvato dai leader politici.

I negoziati per estendere la tregua si sono arenati all’inizio di marzo. La prima fase dell’accordo di cessate il fuoco, iniziata il 19 gennaio, è terminata ufficialmente il 1° marzo. Durante questa fase, sono stati rilasciati solo una parte degli ostaggi israeliani, mentre circa 59 persone (di cui 35 ritenute morte) sono rimaste nelle mani di Hamas. A quel punto, anziché procedere con la seconda fase prevista dall’accordo originale, l’amministrazione del presidente americano Donald Trump ha proposto di prolungare la prima fase fino a metà aprile. Questa strategia mirava a ottenere il rilascio degli ostaggi rimanenti prima di procedere con eventuali concessioni più ampie a Hamas, permettendo a Israele di mantenere la sua posizione militare nella Striscia ed evitando il ritiro completo previsto dalla seconda fase dell’accordo. La proposta avrebbe comportato ulteriori scambi di ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi, ma senza garanzie sulla fine definitiva del conflitto. I colloqui tenuti a Doha, in Qatar, non hanno però portato a un’intesa. Secondo un funzionario palestinese citato dalla Bbc, le parti non sono riuscite a trovare un accordo sui punti fondamentali della proposta avanzata dall’inviato speciale americano Steve Witkoff.

In risposta al rifiuto di Hamas di prolungare la fase uno del cessate il fuoco, il 2 marzo Israele aveva già adottato misure restrittive, bloccando l’accesso di merci e aiuti umanitari alla Striscia di Gaza. Nei giorni successivi aveva inoltre ordinato alla Israel electric corporation (Iec), la principale compagnia elettrica israeliana, di interrompere completamente la fornitura energetica verso Gaza, nel tentativo di forzare Hamas a cedere alle richieste nei negoziati in corso. Queste azioni, seguite ora dalla ripresa dei bombardamenti, hanno ulteriormente aggravato le condizioni di vita della popolazione civile nell’enclave palestinese.

Fonte : Wired