Da allora, le cronache raccontano che la legge fu usata solo in tre occasioni: durante la guerra del 1812 e nel corso dei due conflitti mondiali. Durante la Seconda guerra mondiale, in particolare, fu invocata per incarcerare persone di discendenza italiana, tedesca e giapponese. Agli asiatici (che avevano colpito la base americana di Pearl Harbor, attaccando quindi direttamente la potenza americana) andò peggio di tutti: si stima che sarebbero stati circa 120mila i giapponesi incarcerati, in quegli anni, sulla base del dettato, anche tra coloro che erano in possesso di cittadinanza americana. Sulla base, cioè, della semplice geneaologia.
Perché l’Alien Enemies Act è stato riesumato
Donald Trump parla da anni di “invasione” da parte degli immigrati illegali, ed è questo il presupposto su cui si fonda la riesumazione di una disposizione desueta. Il presidente ha provato a procurarsi un minimo riparo dagli attacchi soddisfacendo a modo proprio i requisiti di legge.
Come visto, l’Alien enemies Act richiede che vi sia comunicazione pubblica, e Trump conseguentemente ha esternato. In un intervento sabato scorso il tycoon ha affermato che la gang Tren de Aragua è impegnata in una “guerra irregolare” contro gli Usa sotto la direzione del presidente venezuelano Nicolàs Maduro. Evidente il tentativo di giustificare il ricorso alla legge ultrabicentenaria estendendo il concetto di guerra fino a sfilacciarlo. Una prassi repubblicana, che ricorda l’era di George W. Bush con la sua “guerra al terrore” presupposto delle guerre in Afghanistan e Iraq – la seconda, falsificando le prove delle armi di distruzione di massa che il regime di Saddam Hussein avrebbe posseduto -.
L’inquilino della Casa Bianca ha anche affermato che Tren de Aragua “sta perpetrando, tentando e minacciando un’incursione di carattere predatorio nel territorio degli Stati Uniti”. Il lessico, come si può osservare, ricalca pedissequamente il dettato della norma, in un chiaro tentativo di stabilire un collegamento e, quindi, giustificarne l’impiego.
Aspetti che non sono sfuggiti ai critici, che hanno sottolineato, innanzitutto, il fatto che gli Stati Uniti non sono attualmente in guerra, men che meno con il Venezuela. In secondo luogo, inoltre, viene rimarcato che l’Alien Enemies Act fa riferimento a dichiarazioni di guerra e minacce di invasione da parte di governi stranieri, e le organizzazioni criminali non lo sono: si tratta di attori non statali. Il riferimento al legame con Maduro è il maldestro tentativo di rispettare, almeno formalmente, le previsioni del testo di legge: maldestro perché l’affermazione è difficilmente dimostrabile. E anche perché il paese centroamericano non gode di caratura internazionale tale da mettere in difficoltà gli Stati Uniti nel caso – probabile – che si tratti di un’invenzione.
Perché il giudice ha bloccato i rimpatri e le storie degli immigrati
Le argomentazioni di Trump non hanno convinto il giudice federale James Boasberg della corte distrettuale federale di Washington che ha temporaneamente impedito (per 14 giorni) al governo l’utilizzo della norme per rimpatriare i venezuelani. A fare ricorso per conto di alcuni arrestati un gruppo di avvocati che hanno accettato di prestare la propria opera pro bono. Storie agghiaccianti. Uno dei detenuti, indicato con le iniziali J.G.G., dichiara di essere stato svegliato alle 2 di notte del 6 marzo e indotto a firmare documenti che, gli sarebbe stato detto, avrebero dovuto servire per riottenere i propri effetti personali prima del rilascio. I documenti gli sarebbero stati sottoposti in inglese, idioma che il venezuelano non parla. Ma, invece di essere liberato, J.G.G. è stato portato nel penitenziario di El Valle in Texas. Il 14 marzo l’uomo viene svegliato nuovamente nella notte: le guardie gli comunicarono che sarebbe stato trasferito altrove, ma non se ne fece nulla perché l’aereo fu costretto a rimanere a terra per un guasto. Potrebbe essere stata la sua salvezza: in Venezuela la polizia lo avrebbe già picchiato e torturato in passato. Ma l’aspetto più allarmante della vicenda è che l’unico indizio di una sua appartenenza alla gang Tren de aragua sono due tatuaggi sulla gamba: una rosa e un teschio. Solo sulla base di questo la polizia avrebbe supposto la sua affiliazione. L’uomo, però, offre una spiegazione diversa: di mestiere sarebbe tatuatore professionista. E quel tatuaggio, realizzato per motivi estetici, già da tempo avrebbe voluto rimuoverlo.
Aerei già in volo
La corte ha imposto una sospensione di 14 giorni; ma, nonostante l’ordinanza del giudice, l’amministrazione Trump avrebbe proceduto ugualmente ad alcuni rimpatri, con il presidente che ha sfoggiato il risultato sul proprio social network. Una sfida al potere giudiziario? Una spiegazione l’ha offerta domenica 16 marzo Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca: “L’amministrazione – ha detto – non si è rifiutata di osservare’ l’ordinanza della della corte. L’ordinanza, che non ha basi legali, è stata emanata dopo che stranieri membri del Tren de Aragua erano già stati allontanati del territorio americano”. Un colpo al cerchio, e uno alla botte. Fino alla prossima occasione.
Fonte : Wired